12 settembre 1919: l’occupazione di Fiume

fiume d'annunzio

Il 12 settembre 1919 segna una data cruciale nella storia dell’Italia e dell’Europa intera: quella dell’occupazione di Fiume da parte di Gabriele D’Annunzio e delle sue truppe. Un evento che non solo delineò il destino della città, ma che gettò le basi per la formazione del Fascismo in Italia.

All’indomani della Prima Guerra Mondiale, l’Italia si trovava in una situazione di profonda crisi, un terreno fertile per il dissenso e il malcontento. La delusione per le aspettative non soddisfatte dagli accordi di pace di Versailles e Saint Germain era palpabile, con l’Italia che non aveva ottenuto tutte le terre promesse con il Patto di Londra del 1915. Fiume (oggi Rijeka, in Croazia) rappresentava uno di quei territori contesi, abitata in gran parte da italiani, ma assegnata al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.

D’Annunzio, già noto come scrittore, poeta, drammaturgo e militare, decise di prendere in mano la situazione, guidando un manipolo di arditi e militari irredentisti in quella che venne poi conosciuta come l’Impresa di Fiume. Questo corpo di truppe occupò la città, incontrando il sostegno entusiastico di una larga parte della popolazione locale. Durante il governo della città (che durò quasi 16 mesi fino al “Natale di sangue” quando lo Stato italiano risolse la questione con la forza) D’Annunzio cercò di creare un laboratorio politico e sociale basato su ideali di cittadinanza attiva, avanguardia artistica e nazionalismo radicale. Una carta costituzionale fu redatta, denominata la “Carta del Carnaro”, che univa elementi di corporativismo, anarchismo e proto-fascismo.

Il rapporto tra D’Annunzio e il nascente movimento fascista è complesso e poliedrico. Sebbene non possa essere considerato un fascista nel senso stretto del termine, molti degli elementi portanti del fascismo possono essere rintracciati nel d’annunzianesimo, come il culto del leader carismatico, il nazionalismo esasperato e l’uso della violenza come strumento politico. D’Annunzio sperimentò in prima persona tecniche di propaganda e di mobilitazione delle masse che sarebbero state in seguito adottate e perfezionate dal fascismo. La marcata impronta nazionalistica e autoritaria del suo governo a Fiume fornì un modello embrionale per il regime fascista che sarebbe sorto pochi anni dopo, anche se arricchito di sfumature estetizzanti e avanguardistiche tipiche del poeta-soldato.

L’Impresa di Fiume rimane un capitolo oscuro e controverso nella storia italiana. Se da un lato rappresenta un esempio di coraggio e irredentismo, dall’altro prefigura gli eccessi autoritari e totalitari del ventennio fascista. D’Annunzio, con la sua figura di intellettuale e guerriero, di artista e uomo d’azione, si inserisce in questo contesto come una figura ambigua, capace di incarnare i sogni e le speranze di un’Italia ferita e umiliata, ma anche di prefigurare gli incubi di oppressione e violenza che avrebbero segnato gli anni a venire. In questa prospettiva, riflettere sull’impresa di Fiume e sul ruolo di D’Annunzio non è solo un esercizio storico, ma una necessaria meditazione sulle radici profonde e oscure del totalitarismo, sulle dinamiche del potere e sul rapporto tra arte e politica.

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