2 maggio 1974: la tassa sulle importazioni per il protezionismo

imposta statale

Il 2 maggio 1974 il governo italiano estende la tassa sulle importazioni per fronteggiare la crisi economica che aveva colpito il paese negli anni precedenti. Questa misura faceva parte di una serie di riforme tributarie che avevano lo scopo di rendere il sistema fiscale più equo e progressivo, secondo i principi costituzionali, in un’epoca in cui l’interdipendenza del nostro paese con gli altri stati comunitari ed internazionali era ancora non vincolante.

La tassa sulle importazioni era una forma di protezionismo che mirava a favorire la produzione nazionale e a ridurre il deficit commerciale. In un contesto di scarsa integrazione economica tra i paesi, questa tassa poteva avere effetti positivi sull’occupazione e sulla crescita interna, a patto di non scatenare una guerra commerciale con i partner esteri. Tuttavia, questa tassa aveva anche degli svantaggi: innanzitutto, aumentava il costo dei beni importati per i consumatori, riducendo il loro potere d’acquisto e la domanda aggregata. Inoltre, rendeva più difficile l’accesso alle materie prime e alle tecnologie straniere, penalizzando la competitività delle imprese italiane. Infine, poteva creare distorsioni nel mercato interno, favorendo alcuni settori a scapito di altri.

La tassa sulle importazioni era solo una delle componenti del sistema tributario italiano degli anni ’70. Questo sistema era stato profondamente riformato tra il 1971 e il 1974 con l’introduzione di nuove imposte come l’IVA e l’IRPEF, e la modifica di altre come le imposte di registro, successioni, bollo, spettacoli e concessioni governative. Queste riforme avevano lo scopo di rendere il sistema fiscale più efficiente, equo e progressivo, adeguandolo alle esigenze di uno Stato sociale che doveva finanziare le spese per la sanità, l’istruzione, la previdenza e l’assistenza. Ciononostante, queste riforme tributarie non furono sufficienti a risolvere i problemi strutturali dell’economia italiana, che si aggravarono negli anni successivi con la crisi energetica, l’inflazione, il debito pubblico e il terrorismo.

Gli strumenti fiscali che vengono utilizzati oggi sono quindi diversi da quelli degli anni ’70. Ad esempio, la tassa sulle importazioni è stata sostituita dal dazio doganale comune dell’Unione Europea, che si applica alle merci provenienti da paesi terzi. Questo dazio ha lo scopo di proteggere il mercato interno europeo da pratiche commerciali sleali o dannose per l’ambiente ed è soggetto a regole comuni con trattati internazionali che ne limitano l’ampiezza e le eccezioni. Oggi viviamo in un’epoca di globalizzazione e integrazione economica tra i paesi e, soprattutto nell’ambito comunitario, questo comporta che le politiche fiscali dei singoli Stati devono essere coordinate e armonizzate con quelle degli altri membri, al fine di evitare distorsioni e concorrenza sleale. Inoltre, grazie all’Unione Europea, le politiche fiscali devono essere obbligatoriamente orientate a stimolare la crescita economica, la competitività, l’innovazione e la coesione sociale.

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