Tutto il mio folle amore è un film del 2019 diretto da Gabriele Salvatores, liberamente ispirato al romanzo Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas, in cui si racconta la vera storia di un padre con figlio autistico e del loro viaggio in moto in sud America. Il titolo del film è un riferimento alla canzone di Domenico Modugno “Cosa sono le nuvole”, a sua volta titolo dell’episodio di Capriccio all’italiana diretto da Pier Paolo Pasolini. Tutto il mio folle amore è stato presentato fuori concorso alla 76esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ha ottenuto diverse candidature tra Nastro d’argento e David di Donatello, seppur non vincendo alcun premio.
Vincent è un ragazzo con un grave disturbo della personalità (malattia che nel film non ha nome) con il quale la madre (Valeria Golino) è costretta a confrontarsi da sempre insieme a suo marito Mario (Diego Abatantuono) che lo ha adottato legalmente. Willi (Claudio Santamaria) il padre naturale del ragazzo, non lo ha mai conosciuto perchè ha abbandonato la compagna alla notizia della gravidanza, ma decide di rifarsi vivo all’età dei 16 anni di Vincent. Come nel film di Pasolini da cui deriva in qualche modo il nome, anche qui i protagonisti sono marionette del destino. Willi, Elena e Mario vengono trascinati per forza di cose da Vincent in un’avventura tra la Slovenia e la Croazia, forzandoli di ripensare la loro quotidianità accettata fino a quel momento come immutabile.
Per Salvatores il film è un ritorno ai road movie da lui tanto amati e che lo hanno fatto apprezzare, attraverso i quali è riuscito sempre a veicolare una certa libertà espressiva. Qui però a differenza delle altre opere della sua filmografia, non vuole stupire per ciò che accade, ma coinvolgere per come accade. Rispetto al libro da cui si ispira, le Americhe sono molto più vicine e non c’è un approfondimento sul trascorso del ragazzo, ma nonostante questo risulta ancor di più essere lui il vero protagonista.
La malattia di Vincent comporta infatti momenti imbarazzanti e inconvenienti vari, voli pindarici ed entusiasmi incontenibili, ma riesce in qualche modo a colmare e far emergere la vera vita dei tre adulti. Willi si ritrova così ad essere un padre che non ha mai voluto (o saputo) diventare adulto e risulta così “strano” quanto Vincent. Allo stesso modo anche Elena, con i suoi sbalzi d’umore, comprende che la normalità è qualcosa che non le appartiene. L’unico che apparentemente risulta più composto ed inquadrato è Mario, ma per sua stessa ammissione e concretezza milanese, è consapevole che la stranezza arricchisce in generale la vita, che risulterebbe altresì monotona e controproducente, soprattutto per lui che per mestiere è editore letterario ed è sempre in cerca di un’originalità autentica da raccontare.