E morì con un felafel in mano è un film del 2000 opera del regista australiano Richard Loweinstein, che è anche un appassionato cultore musicale e autore di videoclip musicali (suo uno storico mediometraggio dedicato agli U2). É tratto dall’omonimo libro di John Birmingham, dal quale riadatta la storia del protagonista, ed ha vinto il Grand Jury Prize al miglior lungometraggio al The New York International independent Film & Video Arts Festival del 2001.
Ci troviamo nella calda e tropicale Brisbane, in Australia. La storia comincia con il nevrotico e aspirante scrittore Danny (Noah Taylor) che trova il coinquilino Flip (Brett Stewart) morto seduto di fronte alla televisione, con un felafel in mano. Nelle successive ore parte un flashback che fa rivivere gli ultimi mesi di Danny, nei quali ha fatto tre traslochi (che si vanno ad aggiungere alla quarantina fatti in tutta la sua vita da trentenne) trovandosi a vivere le avventure più strane tra cultrici new age, minacce della polizia, blitz di fascisti e stravaganti personaggi che si alternano come in un perenne girotondo attorno ad un set.
Il tema del vagabondare è l’essenza principale del protagonista, che lo porta a trovarsi in città nuove e a conoscere persone sempre diverse. La sua essenza viene ben descritta dall’enigmatica Anya (Romane Bohringer), della quale è affascinato, che leggendogli la mano lo descrive: “Tu hai una profonda consapevolezza del tuo personaggio. Non hai fiducia in te stesso però dagli altri la pretendi. Proietti le tue insicurezze su coloro che ti circondano. Rifiuti la felicità perchè la ritieni scialba e superficiale. Ti sei convertito al post modernismo per evitare un pensiero tuo originale. Critichi te stesso perchè così cerchi di vanificare le critiche. Desideri ciò che odi e odi ciò che desideri. Devi sempre distruggere ciò che ami di più!”.
Il film può essere considerato a tutti gli effetti un cult, forse non conosciuto ai più, ma sicuramente ben presente nella memoria di chi ha avuto l’occasione di vederlo. L’atmosfera surreale e sopra le righe della storia, che può essere letta più in generale solo attraverso il paradosso della convivenza umana, gli conferisce un ritmo rotondo e divertente, mai scontato, neanche nel lieto finale che vede (forse) il protagonista Danny diventare finalmente scrittore e capire così cosa farà da grande.