Mio fratello è figlio unico è un film del 2007, l’ottavo diretto da Daniele Luchetti, che ha vinto ben cinque David di Donatello (su undici nomination), due Nastri d’Argento, due Globi d’Oro e quattro Ciak d’Oro (tutti nel 2007). La pellicola è ispirata al libro di Antonio Pennacchi, intitolato Il fasciocomunista, per quanto lo scrittore si sia dissociato, dichiarando che il film non rispecchia la sua opera, soprattutto nella seconda parte.
Nella provincia italiana tra gli anni ’60 e ’70, in una famiglia operaia, vivono due fratelli Accio (Elio Germano) e Manrico Benassi (Riccardo Scamarcio). Seminarista mancato, Accio è un ribelle istintivo e un accanito lettore, un ragazzo “contro” per natura, che fa il fascista anche per contrapporsi al fratello maggiore amato da tutti, specialmente dalle ragazze: bello, seduttivo, ruffiano della retorica marxista-comunista. Fra il nero e il rosso, che si muovono tra le città inventate dal fascismo Latina (ex Littoria) e Sabaudia, i due legati dallo stesso sangue si confrontano arrivando addirittura ad amare la stessa donna. Accio, sempre alla ricerca di una fede, da quella cristiana a quella fascista, per poi quasi perdersi nella sinistra, è la rappresentazione unica di un’incertezza manifesta di un paese allo sbando.
Il film può quasi essere definito un racconto di formazione in cui sfilano circa quindici anni di storia d’Italia, probabilmente i più turbolenti in assoluto, che Luchetti sa ben interpretare nel suo cinema “personale”, toccando e affrontando sì la politica, ma non trascurando l’importanza di ciò che conta veramente, vale a dire le persone; perché sono loro che fanno il mondo al di sopra delle ideologie, e i due fratelli si scoprono alla fine poi non così diversi.