Il 30 agosto 1918, al termine di un comizio nella fabbrica Mihelson a Mosca, mentre Lenin stava per lasciare l’edificio, viene raggiunto da tre colpi di pistola esplosi dalla ventottenne Fanja Kaplan, rivoluzionaria e attivista russa.
Un proiettile trapassò il cappotto di Lenin, mentre gli altri due lo ferirono al collo e alla spalla sinistra. Nonostante la gravità delle ferite, Lenin sopravvisse. Tuttavia, la sua salute non si riprese mai completamente e si è ipotizzato che il ferimento riportato nell’attentato abbia contribuito all’ictus che lo colpì e successivamente uccise nel 1924.
In qualità di membro del Partito Socialista Rivoluzionario (PSR), la Kaplan vedeva Lenin come un “traditore della rivoluzione”, poiché i Bolscevichi volevano mettere al bando il PSR. A seguito dell’attentato, si rifiutò di rivelare i nomi di eventuali complici, e venne fucilata il 3 settembre. L’incidente fu una delle principali provocazioni alla base dell’intensificarsi della repressione politica.
Qualche giorno prima, era stato assassinato Moisej Solomonovič Urickij, capo della Čeka a Pietrogrado. Anche se la Čeka non trovò nessun collegamento ufficiale tra i due fatti, la loro contemporaneità apparve significativa del clima controrivoluzionario insito nell’intensificazione della guerra civile russa.
La reazione dei bolscevichi fu una brutale crescita di violenza nella persecuzione degli avversari politici, concretizzate nel così detto decreto “Terrore rosso”, emanato solo poche ore dopo l’esecuzione della Kaplan. Chiamando a raccolta tutto il popolo contro i nemici della rivoluzione, con l'”Appello alla classe operaia” pubblicato sulla Izvestija il 3 settembre 1918, nei mesi successivi furono giustiziate circa 800 persone tra socialisti di destra ed altri oppositori politici.