Mediterraneo // Gabriele Salvatores

mediterraneo salvatores

Mediterraneo è il quinto film di Gabriele Salvatores e il terzo di successo dopo Marrakesh Express e Turnè, dei quali chiude un’ideale ‘trilogia sulla fuga’ e su una generazione, quella dello stesso regista. Gli è valso il premio Oscar come Miglior Film Straniero nel 1992, riconoscimento sicuramente inatteso, ma vinto anche grazie al senso per il comico e il drammatico che sono di matrice tipicamente italiana. Inoltre, un Golden Globe per la colonna sonora ed il David di Donatello al Miglior Film, al Miglior Montaggio e al Miglior Sonoro.

Ambientato nella piccola isola greca di Megisti nell’Egeo, tra il giugno del 1941 e l’inverno del 1943, descrive le avventure ed i sentimenti di otto soldati del Regio Esercito Italiano, assembrati alla bell’e meglio, che hanno il compito di presidiarla durante la campagna italiana di Grecia. La missione sarebbe dovuta durare quattro mesi, ma invece vi trascorreranno tre anni. Ciò che li tiene uniti, una sana amicizia virile (tra soli soggetti maschi), ovvero un rapporto affettivo che prescinde da passionalità sessuale o da legami di parentela, e non ha fini di interesse.

Nel cast, l’immancabile gruppo di attori-amici di Salvatores. C’è il tenente Montini (Claudio Bigagli) insegnante di latino e greco al ginnasio appassionato di pittura, che li comanda, il rude ma buono sergente maggiore Nicola Lorusso (Diego Abatantuono), il radiotelegrafista Luciano Colasanti (Ugo Conti), il nostalgico dell’Italia Corrado Noventa (Claudio Bisio) che scrive continuamente alla moglie, il montanaro Eliseo Strazzabosco (Gigio Alberti), i fratelli Libero e Felice Munaron, che sono originari delle Alpi venete e non hanno mai avuto a che fare con il mare, e l’attendente Farina (Giuseppe Cederna) il più giovane e più incontaminato di tutti.

Mediterraneo ripropone il valore dell’auto-esilio come fuga dalla sofferenza, per l’individuo che non trova corrispondenza fra la coscienza ed il proprio rappresentato. Salvatores costruisce infatti la cornice narrativa perfetta per raccontare il desiderio di fuga da un sistema immutabile, e lo fa in quel luogo di eterno meticciato quale può essere soltanto il “mare di mezzo”. Così, Mediterraneo osa raccontare il senso della dimora, dell’òikos (famiglia/casa) greco che coincide con il luogo in cui si decide di essere se stessi, nella semplicità del proprio vissuto e lontano dalle disillusioni.

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