Dopo essere stato catturato a Nairobi, in Kenya, il precedente 15 febbraio del 1999, si apre in Turchia la prima udienza del processo contro il leader del Partito Curdo dei Lavoratori (PKK) Abdullah Ocalan, accusato di tradimento, separatismo e omicidio.
In una gabbia di vetro a prova di pallottole e di bombe, senza manette, dimagrito e cupo, Ocalan ascolta la lettura dell’atto di accusa: in 139 pagine, si afferma che “Ocalan in quanto capo dell’organizzazione terroristica Pkk è responsabile di tutti gli attacchi compiuti dalla banda armata” che hanno provocato la morte di 4.472 civili, 3.874 soldati, 247 agenti di polizia, 1.225 uomini delle forze paramilitari e il ferimento di 16.362 persone, civili inclusi.
Sarà condannato a morte il 29 giugno 1999 per attività separatista armata, considerata come terrorismo da Turchia, Stati Uniti e Unione europea. La pena è stata commutata in ergastolo nel 2002, allorché la Turchia ha abolito la pena capitale. Da allora è l’unico detenuto dell’isola-prigione di İmralı, una piccola isola collocata nel sud del Mar di Marmara utilizzata come prigione di massima sicurezza.
Ocalan aveva fondato nel 1977 il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che lottava per l’autonomia del Kurdistan, per l’ecologia, per l’emancipazione della donna e per la distruzione del sistema patriarcale e capitalista. Nel 1984, in seguito alla condanna a morte di 90 militanti da parte del governo turco, il PKK iniziò una campagna di conflitto armato contro le forze governative in Iraq, Iran, e Turchia col fine di creare uno Stato curdo indipendente.
Il 28 gennaio 2016 la giunta comunale di Napoli, guidata dal sindaco Luigi de Magistris ha conferito a Ocalan la cittadinanza onoraria della Città di Napoli «quale pubblico attestato dei sentimenti di condivisione dei principi di democrazia, uguaglianza e libertà per il Popolo curdo, al quale la Città di Napoli è legata da affetto, stima ed amicizia». Il 5 ottobre 2019 il comune emiliano di Berceto ha compiuto un’operazione analoga, suscitando la reazione e le proteste del governo turco di Recep Tayyip Erdoğan.