È un freddo febbraio del 1989 quando all’Università di Chicago si tiene una conferenza dal titolo “Are We Approaching The End of History?” (Ci stiamo avvicinando alla fine della storia?) che ispirerà prima l’articolo “The End of History?” pubblicato dalla rivista The National Interest (1989), poi il saggio “The End of History and the Last Man” (1992). Viene invitato un giovane esperto di politica estera, in particolare sovietica, che si chiama Francis Fukuyama, ha 36 anni e da non molto lavora al Dipartimento di Stato a Washington.
L’incontro va bene, il relatore è soddisfatto e anche la platea: è un buon momento per parlare di Unione Sovietica poiché il presidente Michail Gorbaciov, appena due mesi prima, il 7 dicembre 1988, aveva annunciato in un discorso alle Nazioni Unite che il suo paese non sarebbe più intervenuto negli affari interni dei suoi Stati satelliti. Si prospetta così l’inizio della fine della guerra fredda, e il discorso di Fukuyama sulla proclamazione della fine della storia risulta più azzeccato che mai.
Il suo pensiero è divenuto noto grazie all’opera La fine della storia (1992), nella quale Fukuyama ipotizza che, a livello ideologico, l’umanità abbia vissuto con il comunismo e il capitalismo il culmine del pensiero politico, proponendo così una versione attualizzata della dialettica hegeliana.
Nel suo più celebre saggio politico, Fukuyama interpreta la storia dell’umanità come un unico processo di evoluzione che termina alla fine del XX secolo. Un ulteriore sviluppo di questo processo, che va oltre il traguardo dello stato liberale e democratico, è da escludere. I motivi di questa stagnazione evolutiva sono principalmente la scienza naturale insieme all’economia moderna, e l’emancipazione.
Secondo Fukuyama, la malvagità dei regimi totalitari del XX secolo ha influenzato il pensiero di molti intellettuali in maniera tale da rendere pessimiste le loro previsioni e tesi politiche. Questi stessi pensatori dimenticano però che la caduta del muro di Berlino e le sue conseguenze, ovvero la dissoluzione dell’impero sovietico, rappresentano delle ottime premesse per raggiungere il traguardo comune delle società occidentali: lo stato liberale e democratico, fondato sui principi fondamentali dei diritti dell’uomo.
Fukuyama sostiene quindi che la diffusione delle democrazie liberali, del capitalismo e lo stile di vita occidentale in tutto il mondo potrebbe indicare la conclusione dello sviluppo socioculturale dell’umanità e divenire pertanto la forma definitiva di governo nel mondo. Tuttavia successivamente, con il libro “Fiducia” (1996), ha modificato in parte la tesi del saggio precedente. Fukuyama è inoltre associato alla nascita del movimento neoconservatore, dal quale nei primi anni duemila si è poi distanziato.