In questi giorni in cui in Italia si voterà per l’elezione del Presidente della Repubblica, e tale figura potrà essere ricoperta da Silvio Berlusconi, bisognerebbe rispolverare tutto l’archivio di documentari, raccolte, spettacoli teatrali sull’ex presidente del consiglio che ha governato per circa un ventennio il nostro Paese. Oppure è sufficiente rispolverarne soltanto uno, quello che forse evidenzia al meglio il berlusconismo, inteso più come cambiamento antropologico che come questione di ideologie.
Nato in Italia, Gandini si trasferisce in Svezia nel 1986 dove dal 2001 lavora in TV e dirige documentari, alcuni premiati, su Sarajevo, Che Guevara, il consumismo, la guerra, il welfare; scrive e dirige nel 2009 questo focus sulla ‘videocrazia’ in Italia, quel fenomeno che per più di 30 anni ha occupato l’immaginario collettivo attraverso un potere mediatico che è andato in simbiosi con quello politico, almeno fino all’avvento di internet.
Il film-documentario di Gandini non vuole essere nè un’inchiesta, nè un’analisi, ma uno spaccato di realtà da evidenziare partendo dai personaggi. Lele Mora (che a fine film pronuncerà l’espressione “basta apparire”, come da titolo) dal bianco candore della sua villa in Sardegna invasa da tronisti defilippiani, tira fuori l’anima nera che ha dentro con grande disinvoltura, mostrando sul suo cellulare la suoneria “faccetta nera” e un video in cui a delle immagini di Mussolini si alternano svastiche e altri simboli simili. Fabrizio Corona invece si dichiara, con una certa orgogliosa spavalderia, un “Robin Hood” di nuova generazione, in quanto ruba ai ricchi per dare a se stesso; si fa riprendere mentre conta i soldi nudo davanti allo specchio, racchiudendo simbolicamente ciò che con il suo personaggio vuole rappresentare. Infine non manca l’illuso di turno, un giovane operario veneto che troverà meno del quarto d’ora di celebrità di warholiana memoria ad un’esibizione di “X-Factor”, dopo la quale continuerà a chiedersi con sconforto: “Perché non ce l’ho ancora fatta?”.
Il film è stato presentato alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, nella sezione delle Giornate degli Autori in collaborazione con la Settimana Internazionale della Critica. Girato quasi come fosse un thriller, diretto e montato in modo da lasciare inquietati proprio come nelle intenzioni del regista, ha ottenuto un certo successo al botteghino malgrado sia stato distribuito in un numero limitato di sale.
Nonostante il bisogno di apparire sia stato ben colmato da una comunicazione più distribuita come quella di internet, che nel decennio successivo a quello in cui è stato girato Videocracy ci ha regalato web star, influencer e youtuber, uno scenario come quello mostrato nel film potrebbe sempre ripresentarsi sotto nuovi disvalori nel nostro Paese, e proprio lo scopo ultimo di Gandini è forse il mostrare quanto questi, nelle loro diverse forme, si siano ormai sedimentati negli italiani al di là del personaggio che li ha così ben introdotti.