Il film, molto apprezzato al Festival di Berlino del 2009 e campione di incassi in Francia, è un racconto morale che si interroga sul concetto di diversità in cui è facile riconoscere i canoni attuali e le cronache di questo periodo. Polemizzando con la legge sull’immigrazione voluta da Sarkozy, che infliggeva sanzioni severe ai residenti qualora si fossero resi colpevoli di essere troppo generosi con lo straniero, Philippe Lioret mette al centro del suo film la figura de “l’altro”, inteso come un corpo estraneo da sfruttare o da espellere, senza una vera possibilità di integrazione.
Bilal è un giovane curdo che ha lasciato il suo paese in direzione di Calais, sperando di imbarcarsi per l’Inghilterra. Dall’altra parte della Manica lo attende infatti un’adolescente che il padre ha promesso in sposa ad un ricco cugino. Fallito il tentativo di salire clandestinamente su un traghetto, Bilal è deciso a rincorrere il suo sogno e l’unico modo possibile gli sembra quello di attraversare lo stretto della Manica a nuoto.
Si reca così presso una piscina comunale per cominciare a preparare la sua impresa, e qui incontra Simon (Vincent Lindon), un istruttore di nuoto di mezza età prossimo alla separazione dalla moglie, che ancora ama enormemente senza darlo troppo a vedere. Colpito dall’ostinazione e dal sentimento del ragazzo, Simon lo allenerà e lo incoraggerà a non cedere mai alle fluttuazioni della vita, e a sua volta Bilal aprirà nel cuore ferito di Simon una dimensione in cui accoglierlo. Il mondo fuori è invece avverso e inospitale, e l’uomo dovrà sfidare la dura realtà fatta dai vicini di casa che fanno la spia e dalla legge sull’immigrazione che condanna i cittadini troppo umani e disponibili con il prossimo.
Il regista francese, come fatto anche in altri suoi film, riconferma la sua attenzione per la mercificazione delle vite nel complessivo processo di disumanizzazione dell’Europa contemporanea. Welcome è una storia d’amore e una storia di amicizia, affronta con carattere la realtà nelle sue manifestazioni più crude, disumane e inaccettabili. La sopraffazione del più debole è analoga a tutte le latitudini, compresa la democratica e “rivoluzionaria” Francia che “ospita” una teoria di convivenze, rese però difficili dai codici sociali e dalle paure ataviche e ingiustificate della maggioranza dei propri cittadini.
La coscienza collettiva laddove non è assente è rallentata dagli egoismi, le bassezze e le diffidenze, che sono l’humus in cui si sviluppa l’intolleranza di una comunità verso una minoranza. Il coraggio del singolo, incarnato e interpretato da un intenso e tormentato Vincent Lindon, sembra allora essere l’unica speranza contro la violenza delle istituzioni, ed è raccontata non come conflitto deflagrante, ma come forza di inerzia. Il giovane curdo, in cerca di una patria e di un amore, è per il francese l’annuncio di una possibilità, la possibilità di ogni essere umano di ritrovare se stesso e l’altro.