Il film, commedia insieme romantica e materialista, è stato appassionatamente autoprodotto dal regista Davide Ferrario (già autore di “Guardami” e “Tutti giù per terra”) ed è stato uno dei primi ad avvalersi della tecnologia ad alta definzione nell’ormai lontano 2004.
Martino, taciturno e solitario, lavora come custode notturno della Mole Antonelliana, dove ha sede anche il Museo del Cinema. Quando non lavora, passa le sue giornate a guardare vecchie pellicole di film muti in una specie di abitazione che si è ricavato da un locale in disuso all’interno dell’edificio.
Un giorno Martino offre riparo ad una ragazza in fuga dalla polizia, Amanda, che lavora in un fast food frequentato dal ragazzo. La convivenza fa si che tra i due si instauri un rapporto di reciproca confidenza e quando per Amanda arriva il momento di tornare dal fidanzato delinquente e alla sua solita vita, lei si rende conto che le cose non sono più come prima.
Grazie all’accorto flusso di ironia e autoironia, a tratti autarchico, le notti dei giovani e bravi Giorgio Pasotti, Francesca Inaudi e Fabio Troiano (accompagnati dall’intonata e stralunata voce fuori campo del narratore Silvio Orlando) finiscono, così, per sembrare molto più luminose dei giorni, dove la disperazione di una gioventù senza futuro sbatacchiata tra lavoretti precari e quartieri dormitorio viene riscattata dalla magia senza retorica del cinema.
Opera interessante, che valorizza tutto quello che tocca; pluripremiata dalla critica e amata dal pubblico, in cui Ferrario propone una narrazione originale e asciutta. Il resto lo fanno la freschezza degli interpreti, i giochi del caso e dell’amore, l’estro, la leggerezza e insieme la serietà con cui il film scava, senza parere, nei sentimenti dei suoi personaggi. Un antidoto al tanto cattivo cinema italiano che sbandiera gli incassi in mancanza d’altro.