Per le gravi condizioni della salute pubblica dovuta alla diffusione della “febbre spagnola” il prefetto di Torino dispone la chiusura delle sale cinematografiche e teatrali. Una decisione, che col diffondersi dell’epidemia, viene assunta anche in altre città.
Una serie di proibizioni provenienti da sindaci, medici provinciali, prefetti, modificò nel profondo la vita quotidiana della gente: proibito recarsi a visitare gli ammalati, andare in chiesa, portare le condoglianze alle famiglie dei defunti, un uso radicato nelle tradizioni popolari, seguire i funerali. Al calare della notte i circoli, i caffè, le bettole chiudevano i battenti facendo precipitare nel buio le strade della città. Da un giorno all’altro, anche nelle aree lontane dalla zona in cui stava imperversando la prima guerra mondiale, le popolazioni civili furono sottoposte ad una rigida disciplina, quasi militare.
La pandemia di influenza spagnola contagiò il globo in tre ondate nel periodo 1918-1919: le cause della malattia sono ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica.
La prima ondata (primavera-estate 1918) infettò milioni di persone, interrompendo le attività quotidiane tra le truppe e i civili, ma ebbe una mortalità sostanzialmente contenuta. Il virus venne veicolato dagli spostamenti di uomini e mezzi determinati dalla guerra. L’estesa circolazione della malattia causò la mutazione dell’agente virale in una forma più letale, associando la capacità di attaccare con virulenza le vie respiratorie all’elevata contagiosità. La maggior parte delle vittime furono adolescenti e giovani adulti, tra i 15 e 40 anni: quelle stesse fasce d’età sulle quali era maggiormente ricaduto il peso del conflitto.
Nell’agosto 1918, dopo una fase di decrescita, focolai pandemici esplosero in varie località del globo (Sierra Leone, Francia, Stati Uniti, Italia meridionale). A partire da settembre, la malattia infettò simultaneamente molteplici regioni del mondo occidentale, raggiungendo l’acme della mortalità tra ottobre e novembre. I sistemi d’assistenza pubblica e sanitari, costruiti nell’anteguerra in Europa e Nord America, mostrarono la loro inadeguatezza. Per varie settimane, servizi essenziali per il funzionamento della burocrazia, dell’economia e della macchina bellica vennero paralizzati dal dilagare del virus.
Altrove, come in Africa e Asia, la malattia impose lo stravolgimento di ritmi economici e produttivi cristallizzati da decenni. Nella prima metà del 1919, una terza ondata colpì il globo, veicolata dei grandi movimenti del dopoguerra: il ritorno dei reduci, gli spostamenti dei profughi, la ripresa dei commerci. Tuttavia, la sua capacità di infettare e uccidere si era ridotta.
Le stime dei morti, tra loro divise, oscillano tra i 24 e i 100 milioni di decessi globali (2,5-21,7 decessi ogni 1.000 abitanti). L’Italia registrò un altissimo numero di vittime. Il demografo Giorgio Mortara stimò in 600.000 i morti a causa del virus. Negli Stati Uniti se ne contarono circa 700.000, cifra superata da pochi giorni soltanto dal conteggio delle vittime per il Covid-19.