Lazzaro Felice // Alice Rohrwacher

lazzaro felice copertina film

Nella sua terza regia Alice Rohrwacher ha ottenuto al Festival di Cannes del 2018 il premio alla miglior sceneggiatura, facendo intraprendere al protagonista del film un cammino che è forse anche il proprio all’interno del cinema italiano, con un linguaggio che parte atavico e diventa postmoderno, sottolineando come il Bene e il Male percorrono il tempo senza cambiarlo riproponendosi all’infinito. Ci riporta così in un universo neanche troppo lontano, ma che può sembrare lontanissimo. Ci presenta una numerosissima famiglia di contadini (tutti, o quasi, attori non professionisti), ancora sotto padrone, alle prese con la fatica quotidiana.

La Marchesa Alfonsina de Luna (Nicoletta Braschi) possiede una piantagione di tabacco e 54 schiavi che la coltivano senza ricevere altro in cambio che la possibilità di sopravvivere sui suoi terreni in catapecchie fatiscenti, senza nemmeno le lampadine perchè a loro deve bastare la luce della luna. Mezzadri quando la mezzadria era stata già bandita per legge. Ritiene che gli esseri umani siano come bestie e liberarli andrebbe contro i loro interessi perchè gli rivelerebbe la propria condizione di schiavitù.

In mezzo a quella piccola comunità contadina si muove Lazzaro (Adriano Tardiolo), un ragazzo che non sa neppure di chi è figlio, ma che è comunque grato di stare al mondo, e svolge i suoi inesauribili compiti con la generosità di chi è nato profondamente buono. Ma qual è il posto, e il ruolo, della bontà fra gli uomini? Lazzaro è portatore di quella assurda “santità dello stare al mondo e di non pensare male di nessuno, ma semplicemente credere negli altri esseri umani”. E soprattuto è ancora l’unico, pur in una storia dove il Bene e il Male sono così facilmente individuabili, a non esprimere mai un giudizio.

A rappresentare il filo conduttore del film è l’amicizia tra Lazzaro e Tancredi (Luca Chikovani), che attraverserà intatta il tempo che passa e le conseguenze dirompenti della fine di un Grande Inganno, portando Lazzaro nella città, enorme e vuota, alla ricerca di Tancredi.

Lazzaro, che metaforicamente risorto, si ritrova immutabile come solo il Bene può esserlo, sul cammino di quei contadini non più tali, ma cambiati, cresciuti, invecchiati. Antonia (da adulta Alba Rohrwacher), che da ragazzina era stata l’unica a preoccuparsi della sua scomparsa, ora è l’unica a riconoscerlo senza esitazioni. Ad accoglierlo.

Ed è qui, nella città postmoderna, che il salto nel vuoto della Rohrwacher, rischioso e incantato, si compie pienamente: un balzo in cui il tempo segnerà il passaggio che lei stessa – parafrasando Elsa Morante – definisce quello tra il primo e il secondo medioevo, tra un medioevo storico e un medioevo umano. Quello in cui la democrazia trae in salvo gli schiavi per gettarli poi, soli, in un sistema comunque chiuso, e classista.

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