In questi ultimi giorni di agosto, dove i temporali insidiano il caldo estivo, mi sono ritrovata a rimuginare su molti aspetti della mia vita… e la faccia occhialuta e stralunata di Woody Allen ha fatto capolino nella mia testa!
Nevrotico, ipocondriaco, cervellotico e nostalgico Allen è stata per me una scoperta degli ultimi anni… e trovare il suo ultimo film disponibile su Amazon Prime è stata una vera gioia.
Rifkin’s Festival (2021) rispecchia esattamente la lunga carriera del cineasta, in ogni frame è palpabile l’ironia, la malinconica e le piccole psicosi di Allen stesso.
Mort Rifkin (Wallace Shaw), praticamente l’alter ego di Allen, è un ex professore di cinema e un vero e proprio fanatico della settima arte. Mort, in un tempo remoto vivace e vitale, segue con apatia l’affascinante moglie pubblicista Sue (Gina Gershon) ad un festival. A spingere Mort è solo l’idea, fastidiosa come un eritema, che la moglie possa essersi invaghita del giovane regista per cui cura le pubbliche relazioni.
Tutto il film è permeato dalla consueta vena ironica, e tagliente, di Allen… film che in realtà è una lunga seduta psicoanalitica durante la quale Mort rievoca il suo ultimo viaggio con la moglie. Tra dialoghi farciti di banalità – ovviamente volute! – interminabili e asettici cocktail e registi tracotanti, Allen ci mostra un uomo sempre più distaccato dalla superficialità e dalla mondanità artificiosa… un uomo che cerca rifugio, perdendosi, in momenti onirici che attingono ai grandi capolavori della cinematografia europea.
Mort/Allen è un uomo apparentemente disilluso, annoiato, in crisi profonda con sé stesso e il mondo che lo circonda… ma ancora capace di lasciarsi ammaliare dal futuro, per quanto nebuloso, incerto, immaginario possa essere.
Buona Visione
Serena Aronica