Sempre più attratti dal cinema internazionale, forse perché sempre più delusi da quello nostrano, può succedere di non cogliere alcune increspature che fratturano il piatto mare delle produzioni italiane.
Accade però, proprio alla sottoscritta, di imbattersi in un film che sembra quasi non appartenere al cinema italiano di ultima generazione… un film asciutto, crudo e dal polveroso sapore di realtà.
Manuel è un film del 2017 diretto da Dario Albertini, regista dalla forte impronta documentaristica. Manuel (soggetto di Simone Ranucci) arriva infatti dopo diversi documentari e traghetta lo spettatore all’interno di una realtà forse ancora troppo poco conosciuta, quella delle case famiglia.
Protagonista assoluto è proprio lui, Manuel, anima e corpo dell’intero lavoro di Albertini. Il traguardo dei diciotto anni di Manuel è diverso da quello di molti suoi coetanei, per lui infatti segna l’uscita dalla casa famiglia nella quale ormai vive da molto tempo. Lasciate le mura protettive/oppressive del centro di accoglienza, Manuel si trova a dover comprendere il mondo e le sue sfaccettature per diventarne parte integrante. Ad attendere Manuel però ci sono già responsabilità troppo grandi… dovrà infatti farsi garante per la madre che si trova in carcere per farle ottenere gli arresti domiciliari.
Manuel, abbandonato in giovane età dall’affetto materno, si ritrova a vivere un’involuzione… un ritorno a quel grembo materno dal quale si è sentito tradito ma al quale non riesce a voltare le spalle.
Dario Albertini raccoglie la fragilità di Manuel, che nonostante la fisicità da aspro ragazzo di borgata, convive dolorosamente con la sua infantilità perduta. Nei gesti di Manuel si legge tutto quel bisogno di amore e protezione che gli è stato negato e che lui riversa su alcuni ragazzi e bambini del centro più fragili.
Potrebbe scegliere altre strade da percorrere Manuel, andare lontano e afferrare la vita per farla sua… ma il peso della responsabilità lo opprime togliendogli il fiato e lasciandolo senza via di scampo. Manuel interroga lo spettatore, bucandogli l’anima con uno sguardo disperato e che sembra chiedere urlando: voi cosa fareste al posto mio?
Non possiamo rispondere, non abbiamo nel petto il cuore di Manuel, quel cuore così giovane e così addolorato. Forse possiamo solo cercare di comprenderlo, sostenerlo e sperare che alla fine possa emergere dalle acque che lo intrappolano e che tentano di soffocare da troppo tempo le sue urla.
Albertini sceglie con cura i suoi protagonisti affidando il ruolo di Manuel ad Andrea Lattanzi, che sorprende per la grande prova attoriale. Un ragazzo dalla grande espressività, convincente e capace di creare una profonda empatia con lo spettatore. Nel ruolo della madre di Manuel troviamo poi una bravissima Francesca Antonelli, che dà vita a un personaggio tormentato. Ad esaltare il film, come una perfetta cornice, la fotografia di Giuseppe Maio e le musiche firmate dallo stesso Albertini, Ivo Parlati, Michael Brunnock e Sara McTeigue, quest’ultima anche artefice del perfetto montaggio del film.
Manuel è quel tipo di film che dovrebbe farci voltare lo sguardo verso l’interno, verso il nostro cinema. Un cinema ancora capace di raccontare storie importanti e soprattutto vere.
Buona Visione
Serena Aronica