29 giugno 1967: a Praga gli scrittori si ribellano alla censura

primavera di praga kundera

Il 29 giugno del 1967, quando un caldo torrido avvolgeva la “città dell’oro”, così come viene da molti definita la capitale cecoslovacca, un congresso di scrittori comunisti sfidò lo stesso regime, rivendicando la libertà dalla censura e la libertà dell’informazione, segnando così la stagione delle svolte. La ribellione degli scrittori cechi assunse dimensioni significative per la storia recente dell’Europa; la cultura e la letteratura divennero sentinelle di quel cambiamento che nella Cecoslovacchia di allora assunse il volto del primo segretario del partito comunista Alexander Dubcek, promotore di riforme tra cui la soppressione della censura, l’abolizione della pianificazione rigida e il decentramento dei processi decisionali.

Milan Kundera fu uno dei nomi più noti che alzò la voce a difesa della sua e dell’altrui libertà di scrivere, ma anche il drammaturgo Pavel Kohout che definì vergognoso il ruolo svolto dalla censura. Il giorno successivo fu la volta, tra gli altri, di Vaclav Havel, componente del movimento per i diritti civili “Charta 77” fondato appunto nel 1977, imprigionato per il suo impegno politico dissenziente e divenuto poi ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo presidente della Repubblica Ceca dopo la separazione dalla Slovacchia, in carica per due mandati fino al 2003. Infine il discorso di Ludvik Vaculik, autore del celebre e rappresentativo “Manifesto delle Duemila Parole”, portò alla ribalta la questione dei diritti umani, criticando aspramente la censura ed il regime.

La Primavera di Praga fu l’episodio finale di un tentativo (durato per quasi tutti gli anni ’60) volto a costruire l’egemonia di un’idea di socialismo diverso e più umano rispetto a quello tecno-burocratico affermatosi negli anni del secondo dopoguerra. Non si voleva, infatti, abbandonare la tradizione marxista (se non la sua veste dogmatica e persino settaria): di quella tradizione si volevano correggere alcuni aspetti della teoria economica promuovendo una pianificazione democratica, capace di integrare piano e mercato, armonizzando direzione razionale e direzione democratica delle imprese (anche mediante forme di autogestione). L’obiettivo, forse utopistico per la situazione data, era quello di un generale aumento del tenore di vita, unito allo sviluppo delle libertà e della partecipazione democratica. Si volevano, dunque, gettare le basi di una società socialista che potesse rappresentare un’alternativa sia al capitalismo sia al socialismo burocratico.

Tra maggio e agosto 1968, col progredire delle riforme di Dubček, l’URSS di Brežnev iniziò ad esercitare una crescente pressione sulla Cecoslovacchia, prima con il prolungamento delle esercitazioni militari delle truppe dei Paesi aderenti al Patto di Varsavia, poi, a luglio, con l’invio a Praga della “Lettera dei Cinque” firmata dai leaders di URSS, Bulgaria, RDT, Polonia e Ungheria, in cui si dichiarava di considerare “controrivoluzionaria” la politica dubčekiana.

Nell’agosto del 1968, il progressivo coinvolgimento dell’opinione pubblica mondiale apparve sempre più minaccioso agli occhi della dirigenza sovietica fino a sfociare nell’occupazione militare del Paese e alla fine dell’esperimento del cosiddetto “socialismo dal volto umano”.

L’intervento dei carri armati sovietici segnò una svolta profonda, per alcuni versi irreversibile, nel rapporto tra la sinistra europea e il cosiddetto “socialismo reale”, e spinse importanti partiti comunisti (tra i quali quello italiano) ad assumere una posizione di condanna netta.

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