Giovani e meno giovani costretti a lavorare gratis, uomini e donne assuefatti alla logica della promessa di un lavoro pagato domani, lavoratori a 3 euro l’ora nel pubblico e nel privato: questa è la modernità che paga a cottimo.
Sottoccupazione da un lato e ritmi di lavoro mortali dall’altro. Diritti negati dentro e fuori le aziende per quanti non vogliono cedere al ricatto. Storie di ordinario sfruttamento, legalizzato da vent’anni di flessibilizzazione del mercato del lavoro.
Malgrado la retorica della flessibilità espansiva e del merito come ingredienti indispensabili alla crescita sia stata smentita dai fatti, il potere politico ha avallato le richieste delle imprese. Il risultato è stato una cornice legislativa e istituzionale che ha prodotto uno sfaldamento del mondo del lavoro: facchini, commesse, lavoratori dei call center, addetti alle pulizie in appalto procedono in ordine sparso, non sentono più di appartenere alla medesima comunità di destino.
Le inchieste di Marta Fana sul Jobs Act e la sua lettera all’allora ministro Poletti, condivise da migliaia e migliaia di lettori, hanno portato alla luce la condizione del lavoro in Italia, imponendola all’attenzione pubblica come voce di un’intera generazione.
Una lettura di quattro anni fa, ma che fotografa una situazione sempre attuale, da portare alla luce proprio in queste settimane, tra giovani accusati di non volersi far sfruttare negli impieghi stagionali, aggressioni ai lavoratori in sciopero (come la recente uccisione del sindacalista Adil Belakhdim) e l’imminente sblocco dei licenziamenti; argomenti che hanno contribuito a riportare prepotentemente il tema del lavoro in primo piano.