Vengono uccisi a Genova il procuratore Francesco Coco e i due uomini della sua scorta, il brigadiere di polizia Giovanni Saponara e l’appuntato dei carabinieri Antioco Deiana. L’azione, avvenuta nei pressi della casa del magistrato, in una traversa di via Balbi, viene rivendicata dalle Brigate Rosse.
Con l’uccisione del procuratore generale di Genova, Francesco Coco, avvenuta l’8 giugno del 1976, le Brigate Rosse abbandonarono definitivamente la propaganda per imbracciare le armi. Una lotta armata condotta contro lo Stato, di cui Coco rappresentava uno degli esponenti di spicco all’epoca.
Coco diventa bersaglio delle BR dopo la scelta, compiuta nel 1974, di opporsi al rilascio di otto detenuti ex-militanti del Gruppo XXII Ottobre, messi alla sbarra dal giudice e amico Mario Sossi qualche anno prima. Nonostante il parere favorevole della Corte d’Assise di Genova, che accettò di fatto il ricatto delle BR, Coco impugna il parere davanti alla Corte di Cassazione. Richiesta accolta. Sossi è libero e i detenuti rimangono in carcere. Per i brigatisti da quel momento Coco è un morto che cammina.
Al presidente della Repubblica del tempo, Leone, che lo chiamò il giorno prima della sentenza, Francesco Coco disse: “Farò il mio dovere sino in fondo”.
“Il primo pensiero è di riverente omaggio alla memoria di Francesco Coco, di un uomo che la missione del magistrato esercitò sempre con alta coscienza morale, con dedizione appassionata e con coraggio”, dichiarò il Presidente Leone, il giorno dopo l’omicidio, nel corso della seduta del Consiglio Superiore della Magistratura.
Al Palazzo di Giustizia di Genova, un’aula porta il suo nome, quello di un uomo che non trattò con i brigatisti.