Sull’Appennino forlivese viene proclamata la Repubblica del Corniolo, per resistere all’occupazione tedesca; costituita dalla Brigata Garibaldi Romagnola, che si era formata nel dicembre del 1943 da soli 80 uomini e cresciuta nell’inverno fino a raggiungere i 2.000 effettivi, diretta dal comandante partigiano “Libero” (Riccardo Fedel).
L’iniziativa anticipò di diversi mesi l’appello che, il 4 giugno 1944, dopo la liberazione di Roma da parte delle truppe alleate, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia lanciò per creare nelle zone liberate vere e proprie forme di governo amministrativo, che daranno vita a delle “Giunte popolari comunali”.
L’impatto simbolico fu enorme in quanto la Repubblica nacque nel territorio di nascita di Mussolini e fu il primo esempio di governo autonomo contro l’occupazione tedesca (preceduta solo, ma in altro contesto, dall’esperienza isolata della Repubblica di Maschito, nel Vulture in Basilicata).
I poteri cittadini erano consegnati ad un comitato facente capo al comando dei partigiani, che regolava la vita civile, il commercio del bestiame e riscuoteva le tasse, come risultava dal ‘Diario’ di don Sabino Roverelli, parroco della chiesa del posto. Furono discussi e adottati numerosi provvedimenti di gestione diretta, di riforma agraria, incluse misure «discliplinari» nei confronti dei partigiani «cui fu proibito l’uso di bevande alcoliche e l’accesso ai caffè».
L’esperienza si concluse nei primi giorni del mese di marzo del 1944.
Non ci sono molte ricerche su quella realtà, forse anche a causa delle polemiche politiche che seguirono alla scomparsa di “Libero”, condannato a morte dal Tribunale partigiano presso il Comando della VIII Brigata Garibaldi Romagna in data 22 aprile 1944.
Le accuse erano pesanti: contatti segreti con la Milizia fascista e con il Comando tedesco, appropriazione di un milione di lire lanciate dagli Alleati per i bisogni della Brigata, sobillazione contro i nuovi comandanti e disgregazione delle formazioni partigiane durante il rastrellamento di aprile. Venne probabilmente fucilato fra il maggio ed il giugno seguenti.
Il contrasto fra Fedel ed il comando garibaldino, al di là delle accuse più o meno fondate o veritiere, mise in luce la discussione sulla strategia della guerra di liberazione, fra coloro che puntavano alla guerra di guerriglia e ad azioni che coinvolgessero la popolazione e tutte le forze politiche italiane, e coloro che invece con una visione esclusivamente militare volevano ricostituire un esercito regolare, in grado di affrontare battaglie manovrate.