L’odio non cessa mai un momento di bruciare, come la gola in fiamme di una fucina. Un sentimento che spesso si riversa, come pece bollente, sui più deboli o su quelli considerati diversi. L’odio razziale è probabilmente una delle aberrazioni umane più difficile da sradicare. Un odio che sembra impossibile spegnere, ancora oggi.
Antebellum, film del 2020 degli esordienti Gerard Bush e Cristopher Renz, non è propriamente un film horror, ma più precisamente un film sull’orrore generato dal razzismo. La pellicola si apre con un lungo pianosequenza che pianta immediatamente, nella mente dello spettatore, dei pesanti paletti… è infatti da subito chiaro che bianco equivale a padrone e nero a schiavo.
Siamo nel profondo Sud dell’America, in piena Guerra Civile. Lo scenario, come già annunciato, trasuda violenza e diseguaglianza. I neri sono piegati nei campi di cotone, sono picchiati, sono umiliati, sono derubati della loro dignità. Eppure, qualcosa stride. Dopo aver assistito allo stupro di Eden (Janelle Monàe), una giovane donna tenuta in schiavitù nella piantagione degli orrori, un telefono cellulare improvvisamente squilla. Eden spalanca gli occhi, ma non è più nella piantagione. Non ha più accanto l’uomo bianco che ha abusato di lei. É nel presente. Il nostro presente. Si chiama Veronica. Ha una figlia. Un marito. É una scrittrice di successo che si batte per i diritti della sua gente.
Siamo stati anche noi vittime degli incubi di Veronica? C’è qualcosa di ultraterreno dietro questo inquietante cambio temporale? Mi piacerebbe davvero molto dirvi che in effetti è così… la realtà però, come sempre, è ben peggiore.
Antebellum è un film intriso di una malsana atmosfera e di una inquietudine che sembra lentamente aggrovigliarsi intorno al cuore. Come in Get Out di Jordan Peele, anche in Antebellum si respira a pieni polmoni l’acre odore della follia razzista, dell’odio viscerale che una certa fetta di individui nutre ancora, celata sotto una falsa e ipocrita faccia rassicurante.
Buona Visione
Serena Aronica