Il 5 gennaio 1947 un quadrimotore Skymaster dell’U.S. Air Force fa sbarcare Alcide De Gasperi all’aeroporto di Washington. Missione telegraficamente anticipata dal Corriere d’Informazione con il titolo di apertura: «De Gasperi chiederà dollari pane carbone».
Il presidente del Consiglio si appresta quel giorno a stringere il primo nodo della cima che ci legherà all’impero a stelle e strisce, il massimo vincolo esterno nella storia d’Italia: il vincolo americano. Percorso che due anni dopo traslerà l’Italia, sconfitta ed ex nemica, nell’alleanza occidentale in gestazione, formalmente da pari.
Poco prima di ripartire, confortato dalla calda accoglienza degli italo-americani e dalle attenzioni del presidente Harry Truman, De Gasperi passa letteralmente all’incasso di un credito concesso all’Italia di cento milioni di dollari. Appuntamento con il segretario al Tesoro John Snyder, uomo d’affari del profondo Arkansas non entusiasta di ricevere il capo di un governo zeppo di socialcomunisti. In cima a tutto c’è infatti un argomento che il leader democristiano, benché vi sia preparato, vede diventare imperioso: a un rapporto amichevole con Washington fa da ostacolo l’ ulteriore permanenza di comunisti e dei socialisti nel governo di Roma.
Trasparenti sono le parole nelle quali il senatore repubblicano Arthur Vandenberg, leader della Commissione Esteri, riassume i suoi umori verso l’ospite: «Siamo dispostissimi a sostenere De Gasperi e il suo orientamento, ma chi ci garantirà che sarà lui al governo tra sei mesi? Noi non vogliamo sperperare risorse aiutando tendenze contrarie ai nostri principi». Di analogo tenore le domande formulate da un altro senatore molto influente, Robert Taft: «Chi governerà domani l’Italia? Verso quali mete si avvierà la vostra democrazia?». Il diplomatico Myron Taylor definisce addirittura l’Italia «bastione dell’ Occidente», ravvisando l’esigenza di «contribuire alla sua ricostruzione di fronte al crescente pericolo della minaccia sovietica».
A conclusione dell’evento, l’ambasciatore Tarchiani esprimerà gli stessi concetti con una perifrasi politically correct: «Stimo mio dovere avvertire De Gasperi che l’aiuto americano è indissolubilmente coordinato con lo sviluppo della legislazione e della politica democratica in Italia».
«Il viaggio in America», annoterà Pietro Nenni, «ha cambiato De Gasperi più di quanto non credessi. A un certo punto mi ha detto: “Non sono più lo stesso uomo”. Si vedrà che cosa ha inteso dire». Il 20 gennaio, alle sei di sera, De Gasperi rassegna le dimissioni.
Nella primavera del 1947 mentre, come ha scritto Gianni Corbi, «cominciano a farsi sentire le prime gelate di quella che sarà chiamata la “guerra fredda”», si realizza, sia in Italia che in Francia, la cacciata dei comunisti dai governi nazionali.
Il 13 maggio si apre la crisi di governo (la seconda in quattro mesi). Alla ricerca di una soluzione vengono scomodati esausti personaggi consolari, da Nitti a Orlando. Poi il gioco torna nelle mani di De Gasperi, che il 9 giugno dà vita al suo quarto ministero, stavolta senza né comunisti né socialisti. Esso è formato da democristiani, socialdemocratici, liberali e repubblicani. Nasce così il “quadripartito” inaugurando la lunga stagione del centrismo a guida DC.