Viene condannato Alfred Dreyfus, Capitano dello Stato Maggiore, ebreo, da un tribunale militare con l’accusa, poi rivelatasi falsa, di alto tradimento.
Durante la prigionia di Dreyfus sull’Isola del Diavolo, nella Guyana francese, in Francia il caso giudiziario divenne motivo di divisione nel Paese; l’opinione pubblica si divise in due schieramenti: i dreyfusards e gli antidreyfusards. I primi, intellettuali, politici e tutti coloro che consideravano l’affaire un clamoroso caso di antisemitismo, di razzismo e di nazionalismo cieco; i secondi erano, al contrario, nazionalisti, antisemiti e militari.
Personalità di spicco, come l’Imperatrice Eugenia (consorte del defunto Napoleone III) partecipano al dibattito. Eugenia, ad esempio, era una “pro-Dreyfus” e lo difese dallo storico Gustave Schlumberger, il quale era convinto della colpevolezza di Dreyfus e interrompeva chiunque parlasse a favore dell’ufficiale ebreo: tuttavia egli ascoltò, senza interrompere, il discorso che l’Imperatrice tenne a favore dell’ufficiale all’Hotel Continental, a Parigi.
Un ruolo importante nella formazione dell’opinione pubblica fu svolto dalla stampa: in particolare dal giornale L’Aurore, che pubblicò un articolo dello scrittore Émile Zola; si trattava di una lettera aperta al presidente della Repubblica francese Félix Faure, suggestivamente intitolata J’accuse: una denuncia dell’arbitrio giudiziario e della manipolazione dell’informazione.
Anche in Italia il caso ebbe molto seguito, anche per il possibile coinvolgimento dell’addetto militare italiano presso l’ambasciata in Francia, Alessandro Panizzardi, circostanza che avrebbe rischiato di compromettere i tentativi di miglioramento dei rapporti tra Italia e Francia dopo la guerra doganale e l’adesione italiana alla Triplice alleanza.