Il tema dell’immigrazione è delicato. Scatena polemiche. Alza o deprime i sondaggi. E così i due ministri del M5S, Luigi Di Maio e Alfonso Bonafede, in palese competizione con Salvini, saltano sulla questione e annunciano con una conferenza stampa congiunta che ora si cambia, e che siccome è pronto un decreto per stabilire quali siano i «Paesi sicuri», saranno velocizzate le pratiche per stabilire chi ha diritto a un asilo internazionale e chi no. I tempi si ridurranno «da due anni a quattro mesi».
Peccato che nella fretta vi sia uno svarione: tra i 13 Paesi che d’ora in avanti, basandosi peraltro su una legge del 2007, saranno considerati «sicuri» c’è finita pure l’Ucraina. Un Paese in guerra, dove c’è una fetta occupata dalla Russia (la Crimea) e un’altra contesa da frange secessioniste (il Donbass). In teoria, ma solo in teoria, chi viene dall’Ucraina non avrà il diritto di chiedere il cosiddetto «asilo sussidiario»; resterà la possibilità di chiedere «asilo politico» a titolo individuale.
«Con questo decreto – assicura Di Maio – per chi proviene senza permesso da un Paese considerato sicuro, si avvierà una procedura di rimpatrio con tempi più che dimezzati rispetto al passato». Una dichiarazione che va decrittata: le procedure di rimpatrio saranno sicuramente avviate più velocemente di oggi, ma questo non significa affatto che seguirà poi un rimpatrio effettivo. Come è noto, infatti, la stragrande maggioranza degli stranieri a cui è notificato un ordine di rimpatrio, non lo ottempera e va a finire nell’area grigia dei clandestini. Se non aumentano gli accordi di riammissione con altri Paesi del Terzo Mondo, cioè, i rimpatri resteranno sulla carta.
In questo campo Di Maio annuncia un’offensiva diplomatica. In prospettiva, la bozza di accordo predisposta a Malta e che si discuterà l’8 ottobre in Lussemburgo (incontro derubricato a «presentazione» del piano, non raccolta di adesioni) potrebbe aiutare molto. Ma nell’immediato Di Maio teme un effetto di rimbalzo: «Non è la soluzione definitiva e può avere un effetto di pull factor, e aumentare le partenze perché “tu parti e sai che non solo arrivi in Italia, ma puoi arrivare anche in Francia”». Di qui, ammette, «le preoccupazioni sue» e di «altri Paesi europei».
Il leader M5S sottolinea intanto che questo «è un decreto che non urla» in palese polemica con l’ex alleato leghista, per concludere che «nei 14 mesi precedenti non è stato fatto nulla sui rimpatri». «Noi – scandisce – lavoriamo con serietà per il nostro Paese, al contrario di chi lo considerava un palcoscenico per la sua campagna elettorale permanente».
«L’idea sembra buona, ora vediamo», commenta Nicola Zingaretti. Uno che della materia se ne intende come Erasmo Palazzotto, deputato LeU, annota però che «sembra che ci sia stata più l’esigenza di arrivare a un annuncio, di costruire una replica a questa ossessione che è rappresentata dalla continua propaganda di Salvini».
Puntualmente, a polemica risponde polemica. «Di Maio si prende i meriti della Lega e conferma nei fatti che il Movimento 5 Stelle aveva boicottato il lavoro del ministro Salvini. La lista dei Paesi sicuri era ferma da dieci mesi per i veti degli altri ministeri», replica il leghista Nicola Molteni, ex sottosegretario all’Interno. E Salvini incalza: «Nei primi quattro giorni di ottobre già 261 sbarchi, il doppio della media giornaliera registrata nell’ottobre 2018. Questi i fatti. Da Di Maio e Conte tante chiacchiere e troppi sbarchi».
fonte: LASTAMPA.it