Sopravvivere non è da tutti, né per tutti, e questo spaventoso concetto è espresso in maniera raggelante nel bellissimo film Blue Jasmine di Woody Allen. La pellicola del 2013 si discosta dalla matrice autoironica di Allen, scegliendo invece una narrazione che di allegro ha davvero ben poco.
Jasmine, interpretata magnificamente da Cate Blanchett, è una donna che precipita, e lo fa per tutta la durata del film. Moglie ricca e viziata di Harold Francis (Alec Baldwin), Jasmine sembra già dissociata dal contesto in cui vive. Ebbra di uno status altolocato fatto di gioielli e attici, case con vista mare e abiti di gran lusso ignora i costanti tradimenti e gli imbrogli finanziari del marito. Il tracollo arriva come una pugnalata alle spalle devastando la vita, apparentemente da sogno, di Jasmine. Crolla tutto, come un castello di carte fatto di apparenza e sofisticata evanescenza. Jasmine deve quindi abbandonare la sua esistenza per “abbassarsi” al livello della sorella, che vive una vita modesta e reale.
Allen tallona Jasmine, la occhieggia costantemente, mostrandoci senza filtri la discesa agghiacciante della sua vita. Jasmine non riesce infatti ad adattarsi alla sua nuova condizione, non l’accetta e la sua mente si annoda intorno ai ricordi della sua vita passata.
Blue Jasmine crea disagio nello spettatore, che impotente assiste al disfacimento mentale della protagonista. La guarda inciampare nell’unico ricordo romantico, la vede annaspare nei rapporti umani e aggirarsi nella realtà come uno spettro. Perché Jasmine è questo, un fantasma privo della sua catena.
Woody Allen spoglia il suo film di qualsiasi fronzolo, lo epura di quella comicità atta a sdrammatizzare e lo rende estremamente crudo. Non esiste redenzione per Jasmine e neppure l’accenno di una possibile rinascita, tutto è involuzione e disfacimento.
Come cita Jasmine: “i soldi non si contano, contano”, e questo è il suo epitaffio.
Buona Visione
Serena Aronica