Pessoa è solitamente ricordato per la sua opera più famosa, Il libro dell’inquietudine, con la quale lo scrittore portoghese viene infatti spesso identificato. La sua produzione letteraria conta, però, anche altri capolavori, tra cui Il banchiere anarchico che proponiamo di recuperare in quest’ultimo appuntamento prima della pausa estiva nella nostra rubrica dedicata alla lettura.
C’è da fare subito una distinzione. Se nella sopra citata opera più celebre del grande scrittore lusitano il personaggio principale “sdormiva”, ovvero si trovava perennemente in uno stato di iper-coscienza, simile a quello che precede il sonno, il Banchiere risulta invece molto lucido e spietato, e procede raccontando quasi esclusivamente per sillogismi e paralogismi in modo da condurre il lettore in una sorta di labirinto logico.
Il libro è, di fatto, la cronaca di un colloquio tra due uomini seduti al tavolo, un sigaro acceso, il pranzo già consumato. L’argomento principale viene sostenuto dall’uomo d’affari protagonista, e verte sulla dimostrazione di come l’unico modo per essere anarchici sia creare libertà e di come lo scopo della ricchezza dovrebbe essere principalmente questo.
Pessoa tocca, quindi, alcuni temi dell’anarchismo, pur senza trascendere in speculazioni ideologiche o trattati. Qui l’anarchia viene intesa come uno stato mentale ed un modo di vivere, piuttosto che un’ideologia da professare.
La libertà è l’unico valore individuale che possa considerarsi rifugio di ogni rivoluzione mancata o tradita. Al costo di sfociare nel significato più egoistico del termine, Pessoa ne elogia la funzione salvifica ed egualitaria, intravedendo come unica possibile progettualità di sviluppo sociale la realizzazione e la valorizzazione di sé stessi e della propria individualità.
Filippo Piccini