In queste ore si sta forse svelando quale fosse in realtà il montepremi dello spettacolino social (non saprei come altro definirlo) “#vincisalvini”, ovvero ritrovarsi lo stesso a capo del governo. Scherzi a parte, probabilmente la sceneggiatura è stata preparata già un anno fa, quando il leader della Lega decise di fare un accordo di maggioranza con i 5 stelle, accettando di sottoscrivere un contratto, dopo un paio di mesi di estenuanti trattative durante le quali si parlava già di un esecutivo del Presidente a guida Cottarelli. L’oggetto del disaccordo era su chi avrebbe dovuto ricoprire il ruolo del premier, con Di Maio che sembrerebbe aver insistito fino all’ultimo arrivando addirittura a minacciare anche un impeachment nei confronti di Mattarella, il quale, per il bene degli italiani che nel frattempo vedevano volare lo spread, si era provato ad interporre a questo suo desiderio realizzatosi poi soltanto a metà. Evidentemente se quel braccio di ferro c’è stato, oggi possiamo decretarne il vincitore.
A distanza di dodici mesi esatti dall’inizio di quell’esecutivo, abbiamo assistito ad un vero e proprio ribaltone interno. Parlo di “quell’esecutivo” e non di “questo esecutivo” perchè è evidente come gli equilibri, nonostante il parlamento sia rimasto composto in modo identico, stiano cambiando così drasticamente da doverlo considerare differente. Le dimissioni che oggi Rixi ha consegnato con una sospetta naturalezza a Salvini, dopo aver appreso di essere stato condannato a più di tre anni per l’inchiesta definita “Spese pazze”, possono rappresentare una sorta di cerimonia di investitura indiretta del leader della Lega al ruolo di nuovo premier. Nonostante lo sia ancora ufficialmente Giuseppe Conte, al quale infatti sarebbero dovute pervenire le dimissioni, è evidente come non sarà più questo a dettare il passo per i prossimi mesi, ammesso che lo sia mai stato.
La sconfitta elettorale della scorsa domenica 26 maggio non può essere fatta passare soltanto come una conseguenza dell’astensionismo o della poca passione che gli italiani hanno nei confronti delle elezioni europee. Non si può ignorare che le persone che si sono astenute dal voto ai 5 stelle potranno ricorrisponderlo soltanto se i grillini romperanno con la Lega e si impegneranno in futuro a non stipulare più un’alleanza con il partito del Carroccio (che soltanto fino a prima delle politiche dell’anno scorso si chiamava ancora ufficialmente “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”). Così come risulta chiaro che da adesso in poi qualsiasi conquista di questo governo sarà merito di Salvini, mentre ogni demerito verrà scaricato proprio sui pentastellati.
In tutto questo, all’interno dello scenario politico, è inevitabile che il PD rappresenti l’unica vera alternativa a questa deriva di destra e fulcro di un antisalvinismo che di contro di sta diffondendo nella società, al pari dell’antiberlusconismo che fu. Il consiglio è quello di costruire un’alternativa su dei contenuti propositivi e non contrari, come avvenne invece proprio nel ventennio nel quale l’ex-cavaliere fu protagonista. Soltanto se le forze progressiste e democratiche sapranno intercettare la spinta ambientalista, sostenibile ed egualitaria, che da queste elezioni è venuta fuori da una parte di Europa, potranno offrire una piattaforma politica che sopravviva anche nel prossimo decennio, oltre che alla prossima tornata elettorale. Al tempo stesso i 5 stelle avranno motivo di esistere solamente se sapranno identificarsi come partito populista di sinistra, perchè diversamente troverebbero il posto già occupato a destra, quanto piuttosto se dovessero rimanere privi di identità come adesso finirebbero di farsi fagocitare elettoralmente dal partito egemone di turno.
Gli italiani si sono dimostrati sempre più volubili e assolutamente privi di un’appartenenza politica specifica. E’ sempre bene ricordare che 5 anni fa il partito guidato allora da Renzi prendeva più del 40% di voti in questa stessa tipologia di consultazione elettorale, mentre la Lega intorno al 6%. Ormai gli elettori si comportano sempre più da consumatori che effettuano una scelta deideologizzata a seconda di quale offerta gli viene venduta meglio e promette loro maggiori garanzie di affidabilità. Lo intuì già Berlusconi che di fatto trasformò la competizione elettorale in un’asta pubblicitaria, ma oggi con i social e più in generale internet, questo concetto si è esacerbato cronicizzandosi in una campagna elettorale continua. Soltanto chi saprà intercettare il consenso degli italiani attraverso questi strumenti, al pari dei più noti influencer del web che riescono con la loro immagine ad indirizzare i consumi dei propri followers, riuscirà ad ottenere un significativo successo elettorale e quindi, purtroppo, la legittimità per governare questo Paese.
Filippo Piccini