Nei 191 istituti penitenziari del Paese sono presenti 60.512 persone. È il dato, aggiornato a ieri, fornito dal Garante nazionale dei detenuti durante la presentazione della sua relazione in Parlamento. I posti regolamentari disponibili nelle carceri risultano essere 46.904: i detenuti in più sono quindi 13.608 e il sovraffollamento è del 129%. Questi numeri confermano una «linea di tendenza in crescita» rispetto al passato: al 31 dicembre 2017 i detenuti erano 57.608 contro i 59.655 alla stessa data del 2018. Una crescita, quindi, in un solo anno, di oltre 2mila presenze in carcere.
Il «ruolo di rieducazione sociale affidato alla pena, sancito dalla Costituzione» è stato richiamato dal presidente della Camera Roberto Fico alla presentazione delle relazione annuale del Garante dei detenuti.«Sul divieto di tortura e di trattamenti degradanti», ha detto Fico, «l’Italia purtroppo non ha ottemperato pienamente a obblighi costituzionali e internazionali». «Il sovraffollamento delle carceri diventa una pena aggiuntiva – così Fico -, su questo i miglioramenti sono stati timidi e parziali in questi anni».
Esiste, ha rilevato il Garante, un enorme problema di suicidi in carcere. Nel 2018 i casi di suicidio in carcere sono stati 64: «Un numero – osserva il Garante- che ha segnato un picco di crescita rispetto all’anno precedente (50 nel 2017) e che ha raggiunto un livello che non si riscontrava dal 2011». Nei primi 3 mesi di quest’anno sono state 10 – riferisce il Garante – le persone che si sono tolte la vita in carcere, circa una a settimana.
Delle 64 persone che si sono suicidate in carcere lo scorso anno, 37 non avevano ancora una pena definitiva e, tra questi, 22 erano in attesa di primo giudizio. La loro età media era di 37 anni. Rilevante è il picco di suicidi in prossimità del fine pena: 17 avrebbero finito di scontare la loro pena in meno di 2 anni, altri 3 entro l’anno. L’aumento dei casi di suicidio, osserva il Garante, «non è rapportabile all’aumento del numero delle persone detenute» e la «correlazione non va ricercata nei numeri della popolazione e nell’inevitabile disagio che da esso discende, ma maggiormente in un clima generale che nega soggettività alle persone detenute diffondendo un senso di sfiducia nel riconoscimento della propria appartenenza al contesto sociale». Un clima, conclude il Garante, «che si esprime anche in un linguaggio che in nulla rispecchia il mandato costituzionale, un linguaggio secondo cui il carcere è il luogo in cui si `marcisce´ e non ci si reinserisce nella società».
fonte: LASTAMPA.it