Il rapporto commerciale tra Italia e Cina risale a molto tempo fa. Nel 13° secolo, Marco Polo, un mercante ed esploratore veneziano, fu il primo europeo a lasciare scritta una cronaca dettagliata della sua esperienza in Estremo Oriente. Per secoli, tessuti preziosi viaggiarono sulla Via della Seta dalla Cina alle città italiane di Venezia e Lucca, dove furono trasformati in capi di lusso.
Quindi non è del tutto sconvolgente (almeno da una prospettiva storica) che l’Italia possa diventare la prima grande economia occidentale ad aderire all’iniziativa Belt and Road, il controverso programma di infrastrutture cinesi volto a migliorare i collegamenti tra Asia, Europa e Africa. Il progetto, che il presidente Xi Jinping ha lanciato per la prima volta nel 2013, comprende già alcuni paesi europei come Portogallo, Grecia e Ungheria. Ma ha attratto l’ostilità nell’UE e negli Stati Uniti, che naturalmente temono che sia uno strumento per espandere l’influenza della Cina. Di conseguenza, la notizia che l’Italia è pronta a firmare un memorandum d’intesa con Pechino alla fine di marzo segna una significativa rottura con i suoi alleati tradizionali.
Ciò che è più notevole è il colore politico del governo che sposta il fulcro di Roma verso l’Asia. I partiti che sono al potere, Lega e Movimento 5 Stelle, stanno teoricamente gestendo un programma incentrato sul motto “Prima l’Italia”, con un governo che è scettico nei confronti della globalizzazione, del libero scambio e delle acquisizioni straniere. Per anni la Lega, di destra, si è scagliata contro la decisione di far entrare la Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio, che ha aumentato la concorrenza per molte importanti industrie italiane come quelle legate al settore del tessile. La Lega è adesso la forza dominante nella politica italiana. È ironico che ora stia usando il suo peso per aprire le porte dell’Italia alla Cina.
Naturalmente, anche le amministrazioni precedenti formavano stretti legami commerciali con la Cina. Nel 2014, sotto il governo di centrosinistra di Matteo Renzi, la State Grid Corporation della Cina ha acquistato una quota del 35 per cento in CDP Reti SpA, un vettore di investimento che possiede grosse quote nelle reti italiane di gas ed elettricità. Altri paesi dell’UE hanno anche ricevuto importanti investimenti cinesi, compreso l’acquisto da parte di COSCO Shipping di una quota di maggioranza nel porto del Pireo in Grecia. Pechino ha investito molto anche in Portogallo, dal settore energetico all’aviazione e al sistema bancario.
Tuttavia, il cambiamento di atteggiamento in Italia è notevole. Questa settimana, Italia e Gran Bretagna sono stati gli unici due paesi a non votare a favore di un nuovo meccanismo di screening degli investimenti dell’UE progettato per limitare le acquisizioni straniere di aziende europee, compresa la Cina. Questo irrigidimento della posizione europea, che Francia e Germania stanno fortemente sostenendo, è stato sostenuto dalla precedente amministrazione italiana. Roma è ora contraria perché non vuole che i suoi alleati europei interferiscano con gli investimenti stranieri in Italia (lo screening implicherebbe una condivisione di informazioni attraverso il blocco).
Non è ancora chiaro fino a dove arriverà qualsiasi MOU (memorandum di intesa) con la Cina. Il ministero degli Esteri italiano vuole assicurarsi che il documento sia conforme agli orientamenti e alla strategia dell’UE per placare i partner europei. La Cina potrebbe essere d’accordo con un documento più vago, tale sarebbe il premio per avere a bordo un paese del G7.
Ma la nuova cotta italiana in Cina mostra quanto sia difficile per Bruxelles trovare una posizione unita a Pechino. Per i governi a corto di denaro – tra cui il Portogallo, la Grecia e ora l’Italia – è difficile rifiutare i soldi cinesi per il bene della solidarietà europea. Questa scelta potrebbe essere miope: un’Unione europea unita potrebbe negoziare termini molto migliori dalla Cina di qualsiasi altro paese. Ma la promessa di un premio più grande in futuro non è stata sufficiente per impedire agli Stati membri di perseguire invece premi più immediati.
Ci sono lezioni anche per l’amministrazione degli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump ha assunto un atteggiamento conflittuale nei confronti dell’UE, anche sul commercio. Ma il suo favorire le relazioni internazionali bilaterali rispetto a quelle multilaterali non ha impedito a Roma di scegliere potenzialmente un corso contrario agli interessi degli Stati Uniti. In effetti, il flirt italiano con la Cina è un altro promemoria dell’influenza calante di Washington in Europa. E arriva anche dopo che i leader populisti di Roma hanno sostenuto molto Trump e la sua agenda “America first”. Tuttavia, quando predichi il nazionalismo in patria e all’estero, è difficile lamentarsi della mancanza di cooperazione.
“Non ho detto metà di quello che ho visto”, avrebbe proferito Polo sul suo letto di morte. La storia della crescente influenza della Cina in Europa è ugualmente ancora solo scritta a metà.
tradotto da Filippo Piccini
link all’articolo originale: Bloomberg.com