29 gennaio 1979: l’omicidio di Emilio Alessandrini

La mattina del 29 gennaio 1979 il magistrato Emilio Alessandrini venne assassinato da un gruppo di fuoco dell’organizzazione armata di estrema sinistra Prima Linea. Sostituto procuratore della Repubblica a Milano fin dal 1968, salì alla ribalta delle cronache nei primissimi anni ’70 per aver condotto assieme a Gerardo D’Ambrosio e Luigi Fiasconaro l’istruttoria relativa alla strage di piazza Fontana, indirizzando le indagini verso i gruppo neofascisti ma anche portando alla luce le attività di depistaggio condotte di esponenti dei Servizi Segreti. Con il trascorrere degli anni, l’incremento numerico e l’inasprimento dell’attivismo dei gruppi estremisti di sinistra, la sua zelante opera di magistrato lo vide sempre più impegnato nella repressione di questi ultimi tanto che fu fra i primi ad avviare delle indagini sugli ambienti dell’Autonomia Operaia milanese.

L’inizio del così detto “Processo 7 aprile” contro i militanti di quest’ultima formazione politica, dunque, lo vide convinto collaboratore del giudice Pietro Calogero cui si dovette l’apertura di quel discusso procedimento basato sulla convinzione, poi rivelatasi del tutto infondata, che dietro le azioni dei gruppi armati vi fossero gli ideologi di Autonomia stessa. Fu, probabilmente, proprio questo suo impegno nonché l’alacre lavoro cui si dedicò negli ultimi mesi della sua vita per l’istituzione di un pool antiterrorismo che raccogliesse magistrati di diverse procure, a farlo entrare nel mirino di quelle stesse formazioni contro cui conduceva la sua azione investigativa.

Il 29 gennaio 1979, dunque, Alessandrini accompagnò il figlio Marco a scuola e, fatto ritorno alla sua abitazione, prese la sua autovettura per recarsi a lavoro. Come ogni mattina imboccò via Umbria e si fermò al semaforo con via Muratori, un incrocio critico che lo obbligava spesso a fermarsi con il rosso. Fu proprio qui che il suo mezzo fu agganciato dal commando dei militanti di Prima Linea: due di loro, scesi da un’auto nei pressi della quale rimasero altri due complici “di copertura”, si avvicinarono al finestrino del guidatore, lo ruppero con il calcio di una pistola e aprirono il fuoco per otto volte nell’abitacolo. Emilio Alessandrini morì sul colpo e i suoi attentatori, coperti da un fumogeno lanciato da un quinto membro del commando, poterono darsi alla fuga indisturbati. Fu solo nel 1980 che il pentito Roberto Sandalo rivelò la composizione del gruppo di fuoco: responsabili dell’agguato erano stati Sergio Segio e Marco Donat-Cattin coperti nella loro azione da Michele Viscardi e Umberto Mazzola; ad attenderli nell’auto con cui fuggirono Bruno Russo Palombi.

Poche ore dopo l’accaduto Prima Linea rivendicò l’attentato con alcune telefonate a dei quotidiani che così recitavano: “Oggi, 29 gennaio 1979 alle ore 8,30 il gruppo di fuoco Romano Tognini “Valerio” dell’organizzazione comunista Prima Linea, ha giustiziato il sostituto procuratore della repubblica Emilio Alessandrini. Alessandrini è uno dei magistrati che maggiormente ha contribuito in questi anni a rendere efficiente la procura della repubblica di Milano; egli ha fatto carriera a partire dalle indagini su Piazza Fontana che agli inizi costituivano lo spartiacque per rompere con la gestione reazionaria della magistratura, ma successivamente, scaricati dallo stato i fascisti, ormai ferri vecchi, diventano il tentativo di ridare credibilità democratica e progressista allo stato […]. Alessandrini era una delle figure centrali che il comando capitalistico usa per rifondarsi come macchina militare o giudiziaria efficiente e come controllore dei comportamenti sociali e proletari sui quali intervenire quando la lotta operaia e proletaria si determina come antagonista ed eversiva”.

La sera stessa dell’attentato una vasta azione di polizia portò all’arresto di numerose persone aderenti o anche solo simpatizzanti dell’estrema sinistra del tutto estranee all’accaduto. Ciò nonostante le indagini non ebbero risultati positivi almeno fino all’arresto ed alle citate dichiarazioni di Sandalo che aprirono un nuovo capitolo della vicenda: fu, infatti, solo a seguito delle sue confessioni e delazioni che molti membri “piellini” finirono in carcere. Nel 1983 a Torino ebbe inizio il processo specifico per l’omicidio Alessandrini che si concluse con la condanna a pesanti pene detentive per tutti i responsabili. Questo procedimento, assieme a diversi altri che videro incriminate centinaia di persone, segnò di fatto la fine di Prima Linea destinata a sciogliersi di lì a breve per decisione dei suoi stessi militanti non dissociatisi: come avvenne più tardi anche per le Brigate Rosse, infatti, l’analisi dei membri del gruppo risolse l’inattualità storico-politica della lotta armata e la necessità di abbandonare tale via per qualsivoglia progetto rivoluzionario. Era anche questa una parte, forse la parte più dura e dolorosa, della conclusione di quella ampia e poliedrica esperienza che va sotto il nome di “Stagione dei Movimenti”.

 

Andrea Fermi

Bibliografia:

Sergio Segio, Miccia corta, una storia di Prima Linea, DeriveApprodi, Roma 2005.

Giuliano Boraso, Mucchio selvaggio. Ascesa, apoteosi, caduta dell’organizzazione Prima Linea, Castelvecchi, 2006.

Condividi:

Log in with your credentials

Forgot your details?