Alle 4.00 del mattino del 4 dicembre 1969 un commando della Polizia di Chicago composto da 14 uomini pesantemente armati fece irruzione in un appartamento sito in via Monroe. I locali erano abitati da alcuni militanti del movimento rivoluzionario per i diritti degli afroamericani denominato Black Panther Party, i quali, dopo aver partecipato ad un corso di educazione politica presso una vicina chiesa la sera precedente, si erano lì ritirati per la notte. Il raid aveva un chiaro ed inequivocabile obiettivo: eliminare a sangue freddo Fred Hampton, giovane ed influente membro del partito che il mese precedente aveva assunto il ruolo di portavoce nazionale e capo dello Staff del Comitato Centrale del BPP. Per dare seguito a detto piano l’informatore del FBI infiltrato nel movimento, William O’Neal, preparò una cena all’arrivo dei “suoi” compagni e, di nascosto, somministrò a Hampton una dose di barbiturici: essa avrebbe garantito che questi non si sarebbe svegliato neanche durante i momenti più concitati dell’azione.
Come detto, dunque, alle 4.00 del mattino i 14 poliziotti raggiunsero lo stabile: secondo il piano elaborato idall’ufficio del Procuratore della Contea di Cook Edward Hanrahan, otto di essi si posizionarono davanti all’ingresso principale mentre in sei si recarono sul retro. Alle 4.45 scattò l’ora dell’irruzione: Mark Clark, un membro del partito rimasto di guardia nell’ingresso armato con un fucile, fu immediatamente colpito da alcuni proiettili al petto che lo uccisero all’istante. Dalla sua arma partì un solo colpo, fatto questo che, come fu verificato dagli inquirenti successivamente, fu dovuto ad uno spasimo involontario conseguente al ferimento mortale: fu quello l’unico proiettile sparato dalle “Pantere” quella notte. I colpi delle forze di polizia che alla fine dell’azione sarebbero ammontati a circa un centinaio furono invece rivolti verso la stanza a Sud ove Hampton dormiva con la sua fidanzata, Deborah Johnson, incinta di nove mesi. Quando due ufficiali entrarono nel locale il giovane, sebbene ferito alle spalle, era ancora incosciente data la pesante sedazione subita: fu quindi scaraventato giù dal materasso ove giaceva e trascinato fino alla porta della camera ove due colpi sparati a bruciapelo alla testa posero fine alla sua breve vita. Il fuoco fu, infine, rivolto verso la stanza posta a nord i cui tre occupanti rimasero gravemente feriti.
I sopravvissuti al raid furono arrestati ed accusati di violenza armata e tentato omicidio nei confronti dei componenti delle forze di polizia che avevano condotto l’azione. Il tentativo di attribuire alle “Pantere” la responsabilità della sparatoria e di alterare significativamente l’accaduto ben evidente nelle conferenze stampa tenute dal Dipartimento di Polizia di Chicago nei giorni successivi, tuttavia, si rivelò ben presto insostenibile e i capi d’accusa caddero uno dopo l’altro. Sebbene non si sia mai arrivati ad una condanna penale nei confronti di chi volle, organizzò ed operò l’irruzione – complici anche vari depistaggi e reticenze da parte delle istituzioni – nel 1982 la Città di Chicago, la Contea di Cook e il Governo Federale furono condannati dalla Corte d’Appello degli Stati Uniti per il settimo Circuito ad un risarcimento di 1,87 milioni di dollari nei confronti delle famiglie Clark e Hampton. Molti vollero vedere in ciò il riconoscimento di una colpevolezza che non sarebbe mai stata ammessa ufficialmente e che oggi più che mai, nonostante alcune commemorazioni ufficiali e l’intitolazione di monumenti avvenute negli anni, ricorda quanto sia ancora lunga la strada da percorrere.
Andrea Fermi