Scritto e pubblicato attorno alla metà del ‘500, in un momento in cui l’Europa si divideva attorno a questione dottrinali nella disputa tra protestanti e cattolici, il Discorso sulla servitù volontaria è un trattato politico libertario che tanto affascinerà i posteri.
L’opera di de la Boétie condizionerà gli anarchici, i socialisti libertari e molto marxismo eterodosso, durante tutto l’arco del ‘900, ma non mancherà di essere fondamentale anche per i molti militanti dei diritti civili, dei movimenti non violenti e persino per una parte del pensiero liberale, in particolare quella dedita alle azioni di disobbedienza civile. Il libro non fa altro che sostenere che l’uomo nasce libero e che la natura originaria dell’uomo è la libertà, in un secondo momento, i vincoli sociali avrebbero spinto gli uomini ad accettare il comando e che solo successivamente, per comodità, l’uomo avrebbe preferito la servitù alla libertà naturale.
Nel testo si sostiene, quindi, che la servitù non è altro che la negazione volontaria della libertà. Qualsiasi tiranno, anche il più brutale e infido, non può che comandare fintantoché non si decide di sottomettervisi e che smettendo di farlo, il potere di questo verrebbe automaticamente meno.
Il libro rimane ancora oggi utile per interpretare i meccanismi dell’obbedienza e del potere che si celano dietro qualsiasi regime, fosse anche esso democraticamente eletto.
Gabriele Germani