È stato raggiunto ieri l’accordo per la prossima manovra finanziaria che verrà votata e approvata nelle prossime settimane, con effetto per tutto il 2019. Giá da giorni si specula su cosa sarebbe stato incluso e previsto, dalle misure promesse e non realizzabili, a quelle ridefinibili in altro modo. Alla fine la soluzione è arrivata con una semplice mossa: aumentare il rapporto deficit/pil per poter attingere ad una quantità di fondi maggiore.
C’è da dire che è veramente difficile, per chi viene da sinistra ed ha un’attenzione particolare alle tematiche sociali, trovare dei difetti a questa manovra o quanto meno evidenziarne degli intenti negativi. Le categorie che ne beneficeranno maggiormente saranno quelle che si trovano al di sotto della soglia di povertà, come i pensionati con la retribuzione minima o i disoccupati. Ci sono delle agevolazioni, in questo caso fiscali, anche per le piccole partite iva e imprenditori che si trovano allo stato attuale in oggettiva difficoltà nel portare avanti la propria attività e che, come ricorderemo tutti sicuramente, sono andati ad ingrossare le statistiche dei suicidi negli scorsi anni proprio a seguito della crisi e della condizione di insormontabile indebitamento nella quale versavano. Infine, si dará la possibilità a chi ha maturato i giusti anni contributivi di andare in pensione con il metodo della quota 100, non piú a 67 anni, con il rischio anche di ulteriori aumenti in base agli adeguamenti demografici, ma a 62.
Chi è che fa opposizione a questo governo recrimina e ammonisce dall’attingere al debito perché insieme a questo aumenteranno anche altri parametri economici, ci troveremo a pagare piú interessi, potremmo sprofondare in un circolo vizioso senza ritorno e lasceremo un’eredità negativa alle future generazioni.
Avere dei dubbi e suscitare delle perplessità è del tutto normale e anzi in molte occasioni è perfino salutare, ció che non è per nulla giustificabile è l’incapacità di riconoscere una cosa giusta in un determinato momento da un’altra sbagliata, nonché essere strumentalmente contrari a prescindere dai contenuti soltanto per faziosità pregressa.
Gli scorsi anni di austerity inaugurati dal governo Monti e imposti dall’Europa dopo la “dittatura dello spread” di fine 2011, hanno richiesto dei sacrifici enormi agli italiani, che non sono stati ripagati da un’adeguata risposta in termini di miglioramento della situazione economica e del corrispettivo tenore di vita. Si è deciso che saremmo andati in pensione alcuni anni più tardi, creando una particolare categoria che è quella degli esodati, si è rinunciato all’articolo 18 e ad altre tutele lavorative, si sono tagliati servizi locali in modo indiscriminato, si è persa ogni speranza per il futuro con l’assimilazione strutturale di una mentalità “da crisi” depressiva. Di contro, abbiamo eseguito tutti i diktat dell’Europa, abbiamo salvato gli istituti di credito senza tutelare i risparmiatori truffati e abbiamo rinunciato a spendere in investimenti ed aiuti.
Ora, a distanza di alcuni anni, si può dire che questo tipo di politica ci ha forse risparmiato dal baratro, ma non è servita a trovare un’alternativa per allontanarcene del tutto.
Esistono principalmente due scuole economiche che a seconda degli indirizzi che auspicano e delle misure che intendono adottare si trovano agli antipodi. Semplificando, da un lato c’è la scuola neoclassica (per “classico” si intende la fine dell’ottocento tanto per intendere lo scenario di riferimento) che prevede come gli investimenti dello stato debbano essere ai minimi, nonché i conti in perfetto ordine dato che non sono previste spese ulteriori rispetto al minimo funzionamento necessario. Dall’altra invece c’è quella keyenesia (con tutte le successive declinazioni del caso) che prevede come lo Stato in tempi di crisi debba saper intervenire, al costo anche dell’indebitamento, per sostenere l’economia reale e con essa la crescita, la quale ripagherà il deficit con un aumento del pil a seguito degli investimenti previsti.
È chiaro che è troppo presto per capire se questa manovra sulla quale si è raggiunto un accordo ieri dará i risultati sperati, ma in ogni caso, soprattutto per chi come dicevo ha una tradizione e cultura di sinistra, scegliere di stare dalla parte dei più bisognosi è sicuramente un intento piú nobile rispetto al sottostare ai ricatti del mercato. Si è deciso di investire sulla gente, sul “popolo” come specificano gli artefici di questa misura, e non sui parametri finanziari o peggio sul non investire proprio.
Pur mantenendo le dovute cautele, cercando di non cadere in facili entusiasmi, non sarei cosí catastrofista come molti in questo momento si stanno mostrando, soprattutto i media, e cercherei di chiedermi e di capire chi realmente gioverà delle misure annunciate e messe a bilancio dato che i soldi erogati in aiuti verranno inevitabilmente rispesi e contribuiranno a generare un aumento dei consumi nell’economia reale. Inoltre è da considerare che non si infrange nessun parametro europeo (il limite del rapporto deficit/pil da non superare come sappiamo è il 3%) e che nonostante la commissione europea possa bocciarla, non sarebbe la prima volta che questo accadrebbe, con relativa procedura di infrazione alla quale sottostare. Sarebbe però la prima volta che l’Italia uscirebbe dal suo complesso di inferioritá nei confronti degli altri Paesi europei, che come detto non si fanno problemi a prendere decisioni coraggiose quando necessario, osando una direzione parallela, ma diversa, che è quella dei propri interessi e degli interessi della propria gente.
Filippo Piccini