L’uomo che sfidò Hitler: la vita di August Landmesser

Quando si prendono in considerazione le ragioni che hanno consegnato alla storia i personaggi del passato difficilmente si pensa che qualcuno possa essere stato destinato ad imperitura memoria per ciò che non ha fatto. Per quanto paradossale possa sembrare, tuttavia, ci sono casi in cui proprio la volontaria e cosciente decisione di non compiere un’azione diviene atto dirompente, in grado di veicolare simbolicamente un messaggio con tale forza da giustificare il suo ricordo nel tempo. Fra gli esempi che, a tal proposito, potrebbero essere rammentati un posto particolare spetta all’episodio di cui questa settimana ricorre l’anniversario e che ci racconta di un uomo resosi protagonista di una delle più altamente iconiche espressioni di opposizione ad Hitler ed al nazismo.

Nell’ormai lontano 1991 il quotidiano tedesco Die Zeit pubblicò una foto riemersa dopo quasi 50 anni dagli archivi ed esposta presso il centro di documentazione “Topografia del terrore” allestito nell’ex quartier generale della Gestapo di Berlino. L’immagine ritraeva una folla festante intenta ad accogliere Adolf Hitler in occasione del varo ad Amburgo della nuova nave scuola della marina tedesca, la Horst Wessel, avvenuto il 13 giugno 1936. Fino a qui nulla di particolarmente strano rispetto a quella iconografia cui i regimi nazifascisti ci hanno abituato nelle loro caricaturali adunate. Qualcosa, tuttavia, salta subito all’occhio, qualcosa di strano, di dissonante in un quadro altrimenti completamente omogeneo: nel mezzo delle centinaia di operai ed autorità platealmente impegnati nel tristemente noto saluto a braccio teso, infatti, spicca la figura di un uomo che, impassibile, mantiene ostinatamente le braccia conserte in un chiaro e pubblico atto di sfida nei confronti del Führer in persona. In quell’individuo due donne tedesche hanno riconosciuto il loro padre permettendo così di risalire, in modo probabile sebbene non certo, alla sua identità che risponde al nome di August Landmesser. Chi era, dunque, costui?

August – figlio unico di August Franz Landmesser e di Wilhelmine Magdalene Schmidt nato il 24 maggio 1910 – era un operaio impiegato presso l’arsenale navale Blohm + Voss di Amburgo. Nel 1931, in una Germania devastata dalla crisi economica, aveva aderito al partito nazionalsocialista con la speranza che ciò potesse essergli utile nella ricerca di un lavoro ma ben presto cominciò ad osteggiarne le politiche. L’incontro e la nascita di un rapporto sentimentale con una donna di origine ebraiche, Irma Eckler, fu, da questo punto di vista, un momento di fondamentale importanza per la piena maturazione delle sue posizioni contrarie al regime. Ciò, d’altra parte, gli valse l’immediata espulsione dal partito cui seguì, con l’entrata in vigore nel 1935 delle leggi razziali di Norimberga, il non riconoscimento del matrimonio da parte dell’Ufficio del registro del Comune di Amburgo e la mancata attribuzione del suo cognome alla prima figlia, Ingrid, nata in quello stesso anno.

Le misure persecutorie cui furono fatti oggetto e una nuova gravidanza di Irma, indussero nel 1937 i Landmesser a tentare di espatriare in Danimarca ma furono fermati alla frontiera ed arrestati. Secondo la nuova normativa vigente August fu accusato di “disonorare la razza” e fu solo grazie alle sue dichiarazioni secondo le quali né lui né la stessa compagna erano a conoscenza della totale appartenenza alla “razza ebraica” di Irma che, in assenza di ulteriori prove, venne loro risparmiata la prigione. La sentenza, tuttavia, fu ben magro motivo di sollievo: per non incorrere in una futura condanna pluriennale, infatti, la corte impose l’interruzione della relazione in atto e la separazione della famiglia. I due non presero neanche in considerazione tale ipotesi e, con l’arrivo della seconda figlia, Irene, continuarono pubblicamente il loro rapporto sfidando, ancora una volta, la barbarie del regime cui erano costretti a sottostare. Questa volta, tuttavia, le conseguenze sarebbero state assai più gravi.

Il 15 luglio 1938 August fu nuovamente arrestato e condannato a due anni e mezzo di detenzione nel campo di concentramento di Börgermoor mentre Irma fu presa in consegna dalla Gestapo e dapprima imprigionata nel carcere Fuhlsbüttel per poi essere deportata nei campi di Oranienburg, Lichtenburg ed, infine, Ravensbrück. Le sue lettere che, sporadicamente, continuarono a giungere alle figlie – destinate ad un orfanotrofio e, in un secondo momento, ad alcuni parenti – fino a tutto il 1941 si interruppero nel gennaio 1942 quando, con ogni probabilità, la giovane donna fu trasferita nell’istituto sanitario di Bernburg ove, assieme ad altre 14000 persone, fu destinata all’eutanasia in una data che ricerche svolte nel dopoguerra hanno fissato al 28 aprile 1942.

Il destino di August si sarebbe rivelato non meno tragico: scarcerato il 19 gennaio 1941, fu assegnato ai lavori forzati presso la società Püst, branca della fabbrica Heinkel-Werke sita nel quartiere Warnemünde di Rostock. Nel febbraio 1944, a causa della penuria di uomini abili al combattimento, nonostante i suoi precedenti penali, fu arruolato nella Wermacht ed assegnato ad un reparto di disciplina, il 19° battaglione penale di fanteria della famigerata Strafdivision 999: in una missione operativa a Stagno, in Croazia, entrò nel novero dei tanti dispersi in combattimento e, solo a guerra finita, nel 1949, il tribunale distrettuale di Rostock ufficializzò il suo decesso in data 1° agosto 1944. La triste vicenda dei Landmesser trovò un epilogo postumo nell’estate del 1951 quando il senato di Amburgo riconobbe la validità del matrimonio di August ed Irma concedendo così anche alle figlie di assumere il cognome paterno. Solo Ingrid, tuttavia, decise in tal senso mentre Irene mantenne il cognome Eckler forse per rivendicare pubblicamente quelle origini che tante sofferenze avevano causato ai genitori.

In una foto riemersa da qualche armadio di un archivio polveroso un uomo con le braccia conserte guarda dritto davanti a sé: nel suo “non gesto” una storia di coraggio ed amore che, immortalata e sublimata in quello scatto, attraversa il tempo come testimonianza e monito di lotta ad ogni barbarie.

Andrea Fermi

Bibliografia:
Irene Eckler, The Guardianship Act 1935–1958. Horneburg Verlag, Schwetzingen 1966.
Irene Eckler, A Family Torn Apart by “Rassenschande”. Horneburg Verlag, Schwetzingen 1998.

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