È notizia delle ultime ore l’indizione di uno sciopero da parte dei lavoratori della sede di Piacenza di Amazon, concordato dalle tre sigle confederali CGIL, CISL e UIL per tutta la giornata di venerdì 24 novembre, data del fatidico Black Friday che l’anno scorso ha fatto ricevere in un solo giorno all’azienda statunitense ben 1,1 milioni di ordini, il più alto numero mai registrato.
Non è un mistero che i lavoratori dell’azienda di Jeff Bezos impiegati nei centri di smistamento dei prodotti, composti principalmente da magazzinieri, subiscano dei turni estenuanti e abbiano ben pochi diritti riconosciuti. Emerge infatti che la metà dei dipendenti ha un contratto a tempo determinato, si alternano con turnazioni che vedono una produzione h24 (6-14, 14.30-22.30, 23-6), guadagnano il minimo sindacale per quella tipologia di contratto ovvero tra i 1100 e i 1200 euro mensili e non vedono adeguatamente retribuiti gli straordinari oltre che riconosciuto alcun tipo di premio aziendale. Gli vengono imposti dei turni di lavoro extra in modo obbligato, compresa la domenica. Si evince anche che molti di loro soffrano di problemi psico-fisici dovuti alla fatica necessaria per adempiere le proprie mansioni, nonché dall’alienazione derivante. Addirittura in alcune situazioni si è riferito di casi in cui non riescono a soddisfare neanche i più elementari bisogni fisiologici proprio perchè pressati dagli elevati livelli di produttività richiesti.
Situazioni di questo tipo sembrano essere cronaca usuale dei nostri tempi e ormai sembrano essere assimilate e assimilabili ai nostri anni di crisi generalizzata e di fortuna sconsiderata soltanto nell’avere un posto di lavoro, qualunque esso sia. Non sarebbe il primo caso di sfruttamento oltre che di esempio negativo di occupazione del nuovo millennio. Basti pensare a tutti quei lavori che vengono svolti in nero o che sono stati pagati con i famosi voucher (ultimamente per fortuna soppressi), per non parlare di tutto ciò che ruota dietro ai call center e alle loro manifestazioni aziendali più deprecabili. Il caso Almaviva in tal senso è esemplificativo.
La generazione di chi è nato dai primi anni ’80 in poi, che è la principale protagonista del mondo del lavoro in queste categorie, cresciuta con la promessa di un futuro migliore, di tutele ormai acquisite, ha pagato il dover fare i conti con una realtà dversa senza avere gli strumenti per affrontarla. Non hanno avuto la necessità di fare il servizio militare perché ci era stato detto che ormai non ci sarebbe stata più nessuna guerra (si pensi alle teorie di Fukuyama sulla “fine della storia” dei primi anni ’90); i “cattivi” rappresentati dai comunisti che avevano combattuto fin lì la guerra fredda erano stati sconfitti e il mondo era in mano soltanto ai “buoni”, esportatori di grandi valori e principi. Con la globalizzazione infine si pensava che tutti saremmo giunti ad una qualità della vita migliore, condivisa e più semplice. Avremmo tutti lavorato di meno e guadagnato di piú.
In realtà si è visto che se si lascia l’economia esclusivamente in mano ai mercati, eliminando quanti più vincoli possibili, il mercato stesso tende ad espandersi in modo incontrollato, ad operare scelte dettate esclusivamente dal profitto e a considerare inevitabilmente le “risorse umane” come un semplice parametro da dover utilizzare nel modo piú efficiente possibile senza considerarne il valore intrinseco nonché l’aspetto soggettivo dato che non si sta parlando di oggetti o materiali standardizzati, ma di persone tutte diverse tra loro.
Lo sciopero di venerdì indetto dai lavoratori di Amazon, azienda leader del settore e-commerce nonché esempio di business dei nostri tempi, è un qualcosa che stupisce. Stupisce perché rompe la retorica della nostra generazione imbambolata e pronta a subire qualsiasi forma di abuso. Stupisce perché proprio per questo fa intuire a quale livello di esasperazione sono arrivati quei lavoratori per prendere una decisione così coraggiosa in una giornata simbolo così importante per l’azienda nella quale lavorano.
Non può quindi che andare la piena solidarietà a chi aderirà allo sciopero di domani, da utente e cliente Amazon ritengo che attendere un giorno o due in piú per ricevere il prodotto richiesto, salvo casi di emergenze particolari (che comunque non mi vengono in mente), sia anche più bello perché è proprio durante l’attesa che si matura il desiderio della cosa acquistata, che inevitabilmente, come sosteneva Lacan, una volta ottenuta siamo destinati nel tempo a non volerla più. Il vuoto consumismo che viene infatti proposto alla nostra generazione come unica vera offerta del “turbo-capitalismo” di oggi, sembra essere l’unico contentino lasciato a chi è cresciuto senza conoscere realmente un ideale o qualcosa in cui credere ed entusiasmarsi, che non sia il mero acquisto di oggetti al miglior prezzo e nel minor tempo possibile.
Filippo Piccini