I primi cento anni della Rivoluzione d’Ottobre

Per una rubrica che si pone come obiettivo la valorizzazione della memoria storica ed auspica di essere tramite per un rinnovato e diffuso interesse nei confronti del nostro passato la ricorrenza di fatti particolarmente rilevanti può rappresentare un’arma a doppio taglio: se, infatti, da un lato questi propongono degli argomenti senza dubbio significativi, dall’altro rappresentano dei soggetti tendenzialmente noti la cui trattazione può suscitare un relativo interesse. Non a caso, negli scorsi appuntamenti, è già capitata l’occasione di evidenziare come la decisione di analizzare alcuni episodi piuttosto che altri sia dipesa dalla volontà di non operare scelte banali, nella speranza di suscitare curiosità anche per alcune pagine storiche abitualmente meno note. Per quanto riguarda la settimana corrente, tuttavia, è sembrato davvero impossibile non considerare l’anniversario per certi versi più scontato, un po’ per la simbolica importanza del centenario, un po’ perché la “scomodità” ancora attuale dell’evento stesso rispetto al sistema socio-economico in cui tutt’oggi viviamo relegherà, con ogni probabilità, il suo ricordo a ristretti circoli politici o a consessi di studiosi. È sembrato, dunque, doveroso dedicare questo “appuntamento con la storia” ad uno degli avvenimenti che più hanno influenzato il decorso del ‘900 e che, parafrasando un noto testo ad esso riferito, con il suo realizzarsi “sconvolse il mondo”: la Rivoluzione russa dell’ottobre 1917. Per una rubrica che si pone come obiettivo la valorizzazione della memoria storica ed auspica di essere tramite per un rinnovato e diffuso interesse nei confronti del nostro passato la ricorrenza di fatti particolarmente rilevanti può rappresentare un’arma a doppio taglio: se, infatti, da un lato questi propongono degli argomenti senza dubbio significativi, dall’altro rappresentano dei soggetti tendenzialmente noti la cui trattazione può suscitare un relativo interesse. Non a caso, negli scorsi appuntamenti, è già capitata l’occasione di evidenziare come la decisione di analizzare alcuni episodi piuttosto che altri sia dipesa dalla volontà di non operare scelte banali, nella speranza di suscitare curiosità anche per alcune pagine storiche abitualmente meno note. Per quanto riguarda la settimana corrente, tuttavia, è sembrato davvero impossibile non considerare l’anniversario per certi versi più scontato, un po’ per la simbolica importanza del centenario, un po’ perché la “scomodità” ancora attuale dell’evento stesso rispetto al sistema socio-economico in cui tutt’oggi viviamo relegherà, con ogni probabilità, il suo ricordo a ristretti circoli politici o a consessi di studiosi. È sembrato, dunque, doveroso dedicare questo “appuntamento con la storia” ad uno degli avvenimenti che più hanno influenzato il decorso del ‘900 e che, parafrasando un noto testo ad esso riferito, con il suo realizzarsi “sconvolse il mondo”: la Rivoluzione russa dell’ottobre 1917.

Con tale dicitura si fa riferimento ai fatti che avvennero a Pietrogrado (l’odierna San Pietroburgo) nelle giornate del 6 e 7 novembre 1917 – il richiamo all’ottobre è dovuto all’utilizzo del calendario giuliano nella Russia dell’epoca che non coincideva con quello gregoriano in uso in Europa –, e che portarono all’instaurazione del primo governo socialista al mondo. In verità la situazione nell’ormai ex impero zarista si mostrava quantomai turbolenta già dai primi mesi di quell’anno. Nel più ampio contesto della prima guerra mondiale, infatti, le avverse sorti belliche e le dure condizioni di vita nella capitale avevano già portato nel febbraio ad una prima esplosione rivoluzionaria cui era seguita la destituzione della famiglia Romanov e la costituzione di un governo provvisorio. Il protagonismo di operai e soldati, vere e proprie avanguardie dei moti anche e soprattutto attraverso l’operato del Soviet cittadino, tuttavia, trovò una traduzione politica solo parziale: a giovarsi dell’insurrezione popolare, infatti, furono soprattutto il partito socialrivoluzionario ed il partito menscevico, formazioni di ispirazione marxista ma fermamente convinte della impossibilità di avviare un’esperienza socialista in Russia data la sua forte arretratezza in termini economici ed industriali. Invero, le medesime considerazioni con la conseguente valorizzazione delle forze borghesi cui era riconosciuto il compito “storico” di guidare la società zarista fuori dall’ancien regime, furono condivise in un primo momento anche dall’altra grande realtà del socialismo russo, il partito bolscevico il quale, dopo la feroce repressione voluta da Nicola II, tornava ad affacciarsi nel panorama politico. Durante le prime settimane postrivoluzionarie, infatti, i bolscevichi, guidati Kamenev e Zinov’ev, due figure di spicco del partito, si dimostrarono sostanzialmente collaborativi con il nuovo governo. Fu solo a partire dall’aprile e, in particolar modo, dal rientro in Russia dell’indiscusso leader bolscevico Vladimir Ilic Ulianov meglio noto come Lenin, che le cose cambiarono radicalmente.

Secondo Lenin, infatti, in Russia si stava delineando un’opportunità imperdibile per le forze che si ponevano come obiettivo l’instaurazione di un governo socialista e compito inderogabile del partito bolscevico doveva essere quello di promuovere e guidare il movimento a ciò finalizzato. Tali posizioni, esplicitate nelle così dette “Tesi di Aprile”, furono dapprima accolte freddamente far i suoi stessi compagni ma nel volgere di poco tempo presero a diffondersi con sempre maggiore forza fino ad essere approvate a larga maggioranza nella VII conferenza del partito tenutasi a maggio. D’altra parte la prosecuzione della guerra voluta dal governo provvisorio e le perduranti difficoltà della popolazione furono un terreno più che fertile per la diffusione delle parole d’ordine lanciate da Lenin: gli appelli per la firma immediata della pace, la redistribuzione della terra ai contadini ed il controllo operaio delle fabbriche guadagnarono in breve tempo alla causa bolscevica buona parte della classe lavoratrice urbana e, aspetto questo particolarmente rilevante, si diffusero con grande velocità al fronte, ove la volontà di porre fine ai combattimenti era ormai endemica nella truppa.

Fu in questo contesto di crescente favore popolare nei confronti delle posizioni bolsceviche che, nel luglio, si svolsero a Pietrogrado delle imponenti manifestazioni in cui operai armati e soldati sfilarono per le vie cittadine chiedendo a gran voce pace e potere ai Soviet. L’iniziale spontaneità delle dimostrazioni fu presto sostituita dall’organizzazione del partito di Lenin il quale,  nonostante la palese dimostrazione di forza e di intenti del proletariato della capitale, optò per favorire uno sviluppo pacifico e non insurrezionale delle proteste: il tempo non era ancora maturo per la presa del potere. Ciò non valse, però, a mitigare la risposta del governo il quale ordinò di sparare sui cortei ed avviò una rinnovata ondata di repressione antibolscevica. Tali misure, che costrinsero Lenin, accusato di essere una spia tedesca, e molti dei suoi compagni più in vista ad una rinnovata clandestinità, non servirono tuttavia a ricondurre la situazione ad una maggiore stabilità. Al contrario esse ebbero conseguenze assai destabilizzanti per lo stesso esecutivo, costretto ad un rimpasto di governo cui fece seguito l’assegnazione della guida del Paese al socialrivoluzionario Aleksandr Kerenskij. A ciò, inoltre, si aggiunse come fattore di ulteriore tensione il tentativo di colpo di stato contro il potere dei Soviet operato nell’agosto dal generale Kornilov e sventato solo dall’intervento popolare coordinato dai bolscevichi stessi. Tutto ciò non poté che rafforzare le posizioni di questi ultimi i quali, specularmente alla perdita di credibilità e sostegno del governo provvisorio, videro la loro fazione conquistare la maggioranza in molti Soviet, fra cui quello di Pietrogrado e Mosca.

I fatti dell’estate, d’altra parte, rappresentarono un significativo segnale per lo stesso Lenin e per il suo partito: mentre da un lato si profilava all’orizzonte quella che sarebbe stata la resistenza bianca e filozarista al potere sovietico, infatti, dall’altro si affermava con chiarezza l’esistenza di una massa popolare spostatasi su posizioni apertamente insurrezionali in grado di “superare a sinistra” il partito stesso. Per il leader bolscevico i tempi erano ormai maturi ed occorreva in breve tempo promuovere una sollevazione armata. Tale decisione, già presa in via teorica nel VI congresso del partito avvenuto a Luglio, fu concretamente deliberata dal Comitato centrale il 10 ottobre (23 del calendario gregoriano) con una votazione di 10 a 2: a votare contro furono Kamenev e Zinov’ev ancora convinti che l’opzione socialista in Russia fosse votata alla sconfitta e che una tale forzatura avrebbe messo a rischio l’intero processo rivoluzionario; la schiacciante maggioranza, in cui si contava anche il capo del Soviet di Pietrogrado, Lev Trockij, sosteneva invece che non proclamando l’insurrezione il partito avrebbe perso ogni credibilità popolare e confidava nella diffusione europea della rivoluzione come garanzia di successo.

Il 24 ottobre del calendario giuliano (6 novembre), dunque, mentre a Pietrogrado giungevano i delegati del II congresso dei Soviet, divenivano operativi i piani per la sollevazione: soldati e operai armati, la così detta guardia rossa, occuparono i punti chiave della città garantendo un successo militare rapido e pressoché incruento. Alle ore 10 del giorno successivo, Lenin e Trockij, i due leaders aventi un ruolo principale nella direzione degli eventi, poterono  proclamare il rovesciamento del governo e il passaggio del potere al Comitato militare-rivoluzionario, che due settimane prima era stato costituito in seno al Soviet di Pietrogrado per coordinare l’azione delle guarnigioni. La sera di quello stesso giorno, mentre l’incrociatore “Aurora” appartenente alla flotta del Baltico sparava dei colpi di avvertimento, gli insorti occuparono la sede dell’esecutivo, il Palazzo d’Inverno, e arrestarono i ministri, mentre Kerenskij era già riuscito a lasciare la città.  Contemporaneamente si insediò presso l’Istituto Smol’nyj il Congresso dei Soviet, cui formalmente fu consegnato il potere conquistato con la rivoluzione. L’assemblea, in cui i bolscevichi potevano contare 338 rappresentanti su 648, ratificò l’acquisizione del potere con una maggioranza dei tre quarti dei voti e fu così instaurato il nuovo Stato sovietico. Fra i suoi primi provvedimenti sarebbero stati la confisca delle grandi proprietà terriere e l’appello a tutti i Paesi belligeranti per una pace senza annessioni e senza indennità.

Ricordando oggi quei giorni tutto sembra formidabilmente più lontano di quanto un secolo possa suggerire: il mondo contemporaneo che persegue con pervicacia la “morte delle ideologie” sembra collocarsi in una dimensione lontana anni luce da quei fatti. Eppure guardando a quanto era avvenuto in Russia interi popoli per diverse generazioni hanno sognato la possibilità di vivere in un mondo privo di sfruttamento e ingiustizie. Evidentemente la storia ci ha consegnato un racconto ben diverso dell’Unione sovietica ed oggi non possiamo non considerare quelli che sono stati gli errori e gli orrori del “socialismo reale”. Ciò non di meno la Rivoluzione d’Ottobre continua ad interrogarci sulla possibilità e sulla necessità di un mondo senza oppressi e oppressori che porti inciso sulla sua bandiera la frase “Da ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo i propri bisogni”.

Andrea Fermi

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