Nico, 1988 // Susanna Nicchiarelli

Dimenticate Andy Warhol, i Velvet Underground e Lou Reed, perché Nico 1988 è un’opera assolutamente imprevedibile. Susanna Nicchiarelli interessante autrice che qualche anno fa aveva felicemente impressionato con “Cosmonauta”, realizza un road movie italiano che parla europeo (per questo consigliamo caldamente la visione in lingua originale con sottotitoli), un’operazione complessa e insolita nel nostro panorama cinematografico e una sfida vinta alla grande da una regista che descrive e crede appassionatamente ad un personaggio oscuro e complesso, noto ai più per l’esperienza Factory – Warhol – Velvet Underground. Ma Christa Paffgen, in arte Nico nata a Colonia nel 1938, non ha mai familiarizzato con il successo, tanto che i suoi anni più felici, saranno dopo la definitiva rottura con quell’ingombrante passato, che contribuì a renderla famosa.

Nico, dopo aver intrapreso la carriera da solista a metà degli anni 80, inizia un tour in giro per l’Europa, senza mai dimenticare il giovane figlio con cui dopo varie incomprensioni tenta una difficile riconciliazione. La storia focalizza l’attenzione su questo periodo di rinascita, caratterizzato dai vari flashback che consentono l’accesso ad un mondo misterioso celato di autentica poesia. L’infanzia segnata dalla fame, inevitabile conseguenza di una guerra impietosa che imprimerà un marchio indelebile alle sue origini, facendole sentire il peso della sua città natale, è una condizione che l’accompagnerà per tutta la vita e sarà motivo d’ispirazione dei suoi versi più famosi, come i bagliori lontani di una Berlino che brucia e quel suono portato dal vento così ostinatamente cercato e somigliante alla sconfitta.

Grazie alle canzoni, la regista è riuscita a trovare il filo conduttore della storia raccontando la seconda vita di una donna che chiede solo di essere se stessa. Non è un caso che come protagonista abbia scelto la strepitosa Trine Dyrholm, attrice e cantautrice danese che almeno a livello fisico ha ben poco da spartire con l’originale. Questo perché la Nicchiarelli, ha voluto creare la “sua” sacerdotessa delle tenebre depurandola dal suo status di icona, dalla sua sfrontata bellezza, per restituirci una donna che non ha altre immagini al di fuori di se. Ma la riuscita del film si deve anche alla fotografia, che attraverso un minuzioso lavoro è riuscita a ricreare i fasti di un’epoca che richiama in modo specifico la seconda metà degli anni‘80.

Anni contrastanti, di non appartenenza in cui era facile smarrirsi e non trovare collocazione. Ecco perché la qualità dei video, la bassa definizione del supporto analogico, ma soprattutto il formato quadrato che sulle prime può sembrare una scelta stravagante che ingabbia i personaggi, alla fine risultano essere elementi vincenti. E la storia di Nico diventa improvvisamente universale, perché dietro le sue vicende private, si nasconde un’acuta riflessione sulla vecchiaia, sul fallimento, sull’apparire, ma soprattutto sulla difficoltà di una donna nel vivere il proprio ruolo di artista e madre, negli anni della maturità.

Laura Pozzi

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