Il testo parte dalla confusa situazione dei figli nel mondo ereditato dai padri: la crisi del debito, la catastrofe ecologica, un modello basato sulla crescita illimitata…
Telemaco è il simbolo di figlio che aspetta un ritorno del padre, un ritorno della Legge lacaniana.
In questo richiamo alla genitorialità, non vi è rimpianto per la famiglia patriarcale, non è un padre moralizzatore che imponga un senso quello desiderato, ma uno che possa aiutare a capire che la vita “può ancora avere un senso”.
Il padre che si aspetta non è quindi la metafora di un vincitore, ma come Ulisse è un uomo fragile che torna dal mare e che deve ancora affrontare i Proci (interessante il confronto con gli altri uomini che oggi arrivano dal mare: i migranti).
Per l’autore, la generazione dei genitori ha vissuto una lunghissima adolescenza, durante la quale la politica si è trasformata in un “party adolescenziale forsennato”… E intanto la disoccupazione giovanile è esplosa, la biodiversità è andata in fumo e Telemaco ha continuato ad aspettare Ulisse.
L’intento non è fare moralismo, al contrario la Psicoanalisi separa nettamente la dimensione del Desiderio da quella delle pulsioni.
Parafrasando lo stesso Recalcati in un’intervista: “Per Lacan, il Desiderio non è uno spostamento del Soggetto verso l’Oggetto. Non si desidera una cosa, non si ha l’interpretazione biologica del Desiderio come bisogno.
Il Desiderio è sempre Desiderio dell’Altro, si desidera essere desiderati e amati, è intersoggettivo.
Il Desiderio inconscio non è un qualcosa di caotico, al contrario esso è Vocazione, imprime di senso l’intera esistenza di ogni individuo. Il Desiderio non va domato, al contrario bisogna aprirvisi per permettere all’Io di raggiungere le fondamenta realizzative del proprio essere. In questo il Desiderio si oppone, quindi, alla molteplicità dei capricci instabili, di una società dove il Soggetto viene spinto a desiderare questo continuo proliferare di nuovi oggetti, fino a smarrire se stesso.
Lacan pone il Desiderio non come pulsione istintiva, ma come responsabilità verso la propria vocazione interiore che in finale è la risposta che ogni individuo può dare alla domanda: perché vale la pena di vivere la mia vita?”
La figura genitoriale non è quindi colui o colei che impone una castrazione autoritaria, ma è la figura che impone una castrazione simbolica che rende adulti e quindi liberi.
Lettura consigliata anche ai non esperti.
Gabriele Germani