La fascinazione per l’ignoto e la volontà di indagarne i segreti onde aprire nuovi orizzonti alla conoscenza hanno da sempre fortemente connotato lo spirito umano. Fin troppi sono gli esempi che si potrebbero ricordare a riprova di tale considerazione, partendo dai racconti mitologici delle più disparate culture e giungendo fino ai giorni nostri. Certamente fra i periodi storici che più simboleggiano la traduzione pratica di tale attitudine possiamo annoverare la stagione delle grandi esplorazioni e delle scoperte geografiche fra ‘400 e ‘500: fu quella, infatti, un’epoca in cui l’uomo sfidò con coraggio i limiti della conoscenza del tempo e giunse a ridefinire radicalmente non solo le dimensioni e gli spazi ma anche il concetto stesso del mondo in cui viviamo. Certo, le ragioni che spinsero molti navigatori e i relativi finanziatori ad affrontare spedizioni tanto incerte e pericolose non erano solo e nemmeno tanto derivanti da una passione gnoseologica quanto da un assai più venale interesse economico: il perfezionamento dell’ingegneria navale ed il conseguente, significativo sviluppo delle attività commerciali soprattutto verso le Indie, infatti, motivarono la ricerca di nuove rotte che permettessero di raggiungere la parte opposta del globo senza circumnavigare l’Africa. In questa “corsa ai tesori d’oriente” si distinsero in particolar modo la corona spagnola e quella portoghese le quali nel 1494 arrivarono persino a firmare un trattato a Tordesillas nel quale, di fatto, il mondo veniva diviso in un duopolio con rispettive aree di influenza delimitate dal meridiano passante a 1770 km ad ovest delle Isole di Capo Verde.
Senza dubbio, dato tale contesto, la prima e più nota spedizione che possiamo ricordare è quella di Cristoforo Colombo. Molti, tuttavia, furono coloro che seguirono il suo esempio aggiungendo significativi tasselli ad un’opera che il navigatore genovese non aveva nemmeno colto nella sua epocale importanza. L’appuntamento con la storia di questa settimana ci porta, dunque, a ripercorrere i passi di un altro grande esploratore cui si deve la prima circumnavigazione del globo terrestre: Ferdinando Magellano. Appartenente ad una famiglia nobile decaduta, Magellano nacque a Sabrosa in Portogallo il 17 ottobre 1480. Rimasto orfano di entrambi i genitori alla tenera età di 10 anni, seguendo il fratello, Ferdinando entrò come paggio alla corte del Re portoghese Giovanni II e ricevette l’educazione spettante ai giovani nobili dell’epoca. Il suo destino, tuttavia, non era legato alle comodità ed agli agi dei palazzi reali: all’età di 25 anni, infatti, si trasferì in India ove servì sotto il viceré Francisco de Almeida e diede inizio ad una carriera militare che lo avrebbe visto ben presto ottenere sul campo il titolo di capitano. Dopo essersi distinto nelle campagne di conquista delle Molucche, all’epoca denominate Isole delle Spezie, e del porto di Malacca nell’odierna Malesia, Ferdinando fece ritorno in patria e, nel 1513, prese parte ad una spedizione in Marocco ove, durante i combattimenti della battaglia di Azamor, riportò una grave ferita ad una gamba. Ciò non valse a stornare dal suo capo l’accusa di aver intrattenuto commerci con i musulmani, accusa cui fece seguito, nel 1514, il licenziamento con disonore dal servizio per la Corona.
Quella che sembrava essere una svolta negativa e ignominiosa nella vita di Ferdinando, tuttavia, si sarebbe in breve tempo rivelata un passaggio fondamentale verso quell’esperienza che lo avrebbe consegnato alla memoria storica. Nel medesimo periodo, infatti, l’ex capitano portoghese entrò in possesso di una cartina geografica che ipotizzava l’esistenza di un passaggio fra l’oceano Atlantico e l’oceano Pacifico poco più a sud del Rio della Plata, passaggio che, secondo le supposizioni dell’epoca, avrebbe ridotto considerevolmente i tempi per raggiungere via mare l’Asia dall’Europa. Cosciente dell’importanza che la scoperta di una tale rotta avrebbe avuto per la Spagna, Magellano abbandonò la sua patria e si recò nell’altro grande impero della penisola iberica. Qui, sostenuto da vari uomini d’affari di grande influenza, riuscì a convincere Carlo I della bontà del suo progetto esplorativo: esso non solo avrebbe messo in condizione i mercantili spagnoli di evitare i porti africani in gran parte di proprietà portoghese ma avrebbe permesso anche di capire se le preziose isole Molucche appartenessero a quell’emisfero orientale che il trattato di Tordesillas assegnava al Portogallo o se, come lo stesso Magellano sosteneva, esse dovessero essere rivendicate alla corona di Spagna. Il 22 marzo 1518 Ferdinando siglava un accordo con Carlo, all’epoca anche imperatore del Sacro Romano Impero, il quale gli mise a disposizione una flotta di 5 navi per trovare le Isole delle Spezie e gli promise un quinto dei proventi della spedizione oltre che la nomina per i suoi eredi a governatori delle terre scoperte.
Il 10 agosto 1519, dunque, la flotta composta dalle navi Trinidad, San Antonio, Concepcion, Victoria e Santiago, e forte di un totale di 234 uomini salpava da Siviglia risalendo il Guadalquivir fino a Sanlucar de Barrameda ove il fiume sfociava nell’Atlantico. La fermata forzosa di cinque settimane dovuta alle riluttanze delle locali autorità spagnole a far partire un convoglio guidato da un portoghese, furono solo un breve intralcio e, finalmente, il 20 settembre 1519 la flotta poteva dare inizio al suo viaggio affrontando le onde impetuose dell’oceano. Qui Magellano si dovette subito preoccupare di seminare alcune navi armate dal re portoghese Manuele I per impedire la spedizione e, dopo un breve scalo di approvvigionamento presso le Canarie, fece rotta verso il Brasile. Secondo quanto riportato dal diario di bordo il 20 novembre la flotta attraversò l’equatore e, nonostante un ammutinamento degli ufficiali spagnoli che Magellano sedò mettendo ai ceppi il primo ufficiale della San Antonio, il 6 dicembre fu toccata la terra sudamericana nella baia di Rio de Janeiro. L’accoglienza fin troppo calorosa degli indigeni che credettero i bianchi delle divinità portatrici di una pioggia assente da diversi mesi e le infruttuose ricerca del supposto passaggio nei pressi del Rio della Plata ritardarono non poco la ripartenza della flotta. Quando Magellano levò l’ancora muovendosi verso sud, dunque, l’approssimarsi delle stagioni fredde consigliarono di svernare in una baia della Patagonia rinominata Porto San Julian e rinviare la prosecuzione del viaggio alla primavera. La progressiva diminuzione delle provviste e il conseguente razionamento delle stesse, tuttavia, motivarono un nuovo ammutinamento su tre delle cinque imbarcazioni: questa volta per sedare la rivolta Ferdinando fece giustiziare i capitani della Victoria e della Concepcion mentre il capitano della San Antonio unitamente ad un chierico che aveva capeggiato la sommossa furono abbandonati sulla costa. Il tentativo di inviare la Santiago in avanscoperta nel maggio si concluse con un veloce naufragio che vide la gran parte dell’equipaggio salvarsi e tornare via terra a San Julian: per abbandonare la baia le quattro navi superstiti dovettero attendere l’ottobre. Proseguendo il proprio viaggio verso sud con l’inizio della primavera australe, dunque, tutte le insenature e le bocche dei fiumi furono esaminate. L’accesso all’oceano Pacifico sembrava sempre più una chimera favoleggiata dai cartografi quando, finalmente, la Concepcion e la San Antonio, mandate in perlustrazione da Cabo Virgenes ove il resto della flotta era all’ancora dal 21 ottobre, fecero ritorno con l’agognata notizia di aver trovato il passaggio. Il 28 novembre 1520 la flotta, ridottasi ulteriormente di una nave a causa dell’ennesimo ammutinamento sulla San Antonio la quale aveva invertito la rotta per far ritorno in Spagna, attraversava il canale oggi noto come stretto di Magellano e raggiungeva l’oceano Pacifico.
L’euforia che certo dovette connotare il momento, tuttavia, era destinata ben presto a spegnersi: la speranza nutrita dallo stesso ammiraglio di poter raggiungere le Isole delle Spezie in non più di un mese si scontrò con un realtà affatto diversa che portò le tre imbarcazioni a navigare per ben tre mesi e venti giorni in alto mare con l’avvistamento di soli due isolotti disabitati. Le dimensioni del Pacifico erano assai più ampie del previsto e la lunghezza della traversata senza rifornimenti di sorta portarono molti membri dell’equipaggio ad ammalarsi di scorbuto e ben diciannove di essi a perire. Fu, dunque, solo il 6 marzo 1521 che le tre navi giunsero presso isole più grandi ed abitate, le Isole Marianne, denominate da Magellano le Islas de los ladrones poiché alcuni indigeni tentarono di impossessarsi di una scialuppa e di alcune suppellettili. Ciò non impedì all’equipaggio di rifornirsi di viveri e proseguire la propria navigazione verso le Filippine che furono raggiunte il 16 di quello stesso mese. Qui l’accoglienza degli abitanti dell’isola di Homonhon, favorita dalla conoscenza della lingua di uno degli interpreti al fianco di Ferdinando, fu assai più cortese e culminò in uno scambio di doni con il re locale. Questi si offerse persino di accompagnare gli spagnoli fino alla vicina isola di Cebu ove Magellano riuscì nell’intento di convertire il locale Re e diversi suoi sudditi al Cristianesimo nonché a far riconoscere il potere della Corona di Spagna sui territori appena raggiunti. Diffusasi tale notizia anche nelle zone limitrofe una rivolta esplose sulla vicina isola di Mactan. La decisione di Magellano di utilizzare la forza per imporre la sua religione ed il suo potere si sarebbe rivelata fatale: sbarcato sulla suddetta isola il 27 aprile 1521 l’ammiraglio portoghese fu ucciso dagli uomini del locale capo Lapu-Lapu.
Morto Magellano, sconfitti a Mactan e attaccati anche dal re di Cebu che nel frattempo aveva prontamente ripudiato il Cristianesimo e ordinato un attacco nel quale morirono quasi trenta dei loro, gli spagnoli ormai rimasti in un numero troppo esiguo per governare tre navi, decisero di affondare la Concepcion e con la Victoria e la Trinidad fuggirono verso il Borneo rimanendo per 35 giorni nel Brunei. Il 6 novembre, finalmente, la spedizione raggiunse le Molucche ove il sultano locale si disse disposto a vendere loro le tanto preziose spezie. Da questo momento in poi i destini delle due ultime navi superstiti si divise: la Victoria, infatti, riprese immediatamente la rotta verso Ovest mentre la Trinidad, bloccata da un’avaria fu costretta a rinviare la partenza. La nave ammiraglia riprese il viaggio verso casa attraverso il Pacifico solo dopo non brevi lavoro di riparazione allo scafo ma fu ben presto intercettata da una flottiglia portoghese la quale depredò il prezioso carico e imprigionò i suoi naviganti: l’imbarcazione sarebbe rientrata in Spagna solo nel 1525, più di quattro anni dopo la partenza, con soli 5 uomini superstiti. La Victoria, invece, concluse il suo viaggio il 6 settembre 1522 presso il medesimo porto di partenza, portando così a termine la prima circumnavigazione del globo in due anni, 11 mesi e 17 giorni. In Spagna facevano rientro su una nave malconcia che imbarcava acqua e issava una velatura di fortuna solo 18 uomini perlopiù ammalati e malnutriti: fra di essi l’italiano Antonio Lombardo, detto il Pigafetta, che avrebbe redatto la storia della spedizione.
Al di là delle sue conseguenze geopolitiche – conseguenze peraltro rivelatesi affatto meno incidenti dati i tempi assai più lunghi del previsto per la circumnavigazione stessa e la non dirimente conoscenza della posizione delle Molucche – l’avventura di Magellano e dei suoi ebbe un valore scientifico di considerevole importanza dimostrando incontrovertibilmente la sfericità della terra e la circumnavigabilità del continente americano nonché palesando una dimensione del globo decisamente più grande di quanto fino ad allora supposto. È, dunque, anche al coraggio e alla decisione di costoro che l’umanità deve rendere merito per un importante passo nel processo di conoscenza del mondo in cui viviamo.
Andrea Fermi