Maureen è una personal shopper in attesa di un segno dal fratello Lewis, morto per una disfunzione cardiaca congenita. La sua stravagante attività, che ondeggia sinuosa tra costosissimi abiti Chanel e gioielli Cartier, assomiglia più ad un hobby che a un lavoro vero e proprio e le consente di entrare in un mondo algido e fintamente fatato, lontano anni luce, almeno in apparenza, dalla sua androgina personalità. Ma oltre ad attendere, l’ambigua e carismatica Kristen Stewart (in perfetta simbiosi con il suo personaggio), sembra alla disperata ricerca di qualcosa, che continua a sfuggirle e a non comprendere.
Ed è un po’ quello che succede a noi spettatori, dopo la complessa e poco agevole visione di quest’opera firmata da Olivier Assayas. Attenzione, chi conosce il regista francese, non è nuovo alle sue sperimentazioni
Ad una prima analisi, la pellicola si presenta come una ghost story, dai riflessi horror che in qualche occasione sfocia senza compiacimento nello splatter. Ma questo è innegabile se ci limitiamo ad un discorso puramente estetico. Se invece ci addentriamo nel profondo della storia, ci accorgiamo come non è solo Maureen alla ricerca dell’identità perduta, ma noi con lei. E da qui ecco fiorire sentimenti
Cosa avrà voluto dire Assayas, con la sua storia apparentemente semplice e un po’ fuori dalle righe? Dove avrà voluto condurci? E l’emblematica domanda finale di Maureen, troverà mai una risposta? Tutto questo e molto altro è “Personal Shopper”, un film quasi impossibile da raccontare e che richiederebbe ore ed ore di analisi ed interpretazioni. Noi ci limitiamo a sostenerlo e raccomandarlo il più possibile, perché senza dubbio questo è il cinema che ci piace di più.
Laura Pozzi