IL COMPLOTTO NEL COMPLOTTO, #RAGGIRATI

C’è da dire che chi aveva previsto una sorta di complotto per far vincere il Movimento 5 Stelle a Roma, rompendo forse l’illusione di chi, invece, voleva vincere per governare, oltre ad aver azzeccato l’esito delle elezioni, ha contribuito a creare quello che ormai possiamo definire un “complotto nel complotto”.

Molti dubbi c’erano fin da subito, come scrissi in questo editoriale di luglio. Sicuramente non sono uno degli elettori presi in giro dalle promesse grilline nella Capitale in quanto non ho votato Virginia Raggi, ma sono ugualmente indignato per lo spettacolo al quale stiamo assistendo e alla serie di menzogne che sono emerse finora.

Premetto che ogni ipotesi di cospirazione da parte dei poteri forti nell’influire sulle decisioni in questo caso viene meno, perché qui si tratta di non essere nemmeno in grado di comporre e mantenere una giunta o di sceglierla almeno priva di persone indagate. Alla faccia dell’onestà e della trasparenza promessa con “lo streaming di ogni riunione al fine di coinvolgere maggiormente i cittadini in una nuova forma di democrazia diretta”. A distanza di più di due mesi, in una città in cui le emergenze sono ormai improcrastinabili, ciò che sta avvenendo è a dir poco scandaloso e sta praticamente autodistruggendo quel poco di credibilità che, dopo le esperienze disastrose o poco trasparenti della Parma di Pizzarotti e la Livorno di Nogarin, era rimasta al Movimento 5 Stelle per essere considerato una forza politica seria in grado di governare.

La domanda è semplice: perché contornarsi di persone di questo tipo, ovvero indagate, colluse con le precedenti amministrazioni o senza titoli idonei per ricoprire gli incarichi? Il non essere mai stato iscritto od aver collaborato con alcun partito politico, il non avere indagini in corso a proprio carico e il favorire la meritocrazia e le persone competenti non erano forse i punti cardine del Movimento 5 Stelle tanto sbandierati?

Mi chiedo perché storicamente ed antropologicamente gli italiani sono così soggetti a farsi prendere in giro. C’è stato un quasi ventennio di berlusconismo, la cui priorità erano le leggi ad personam (intercettazioni, condoni, depenalizzazioni) a fronte dell’esigenza di dare il via a riforme della cui mancanza oggi paghiamo lo scotto. C’è ora il grillismo, che ha organizzato i primi VaffaDay e le critiche più dure proprio negli anni in cui l’ex-cavaliere era all’opposizione, mosso dal rancore nei confronti delle istituzioni e dall’antipolitica, al suon di “sono tutti uguali, mandiamoli tutti a casa”. C’è come l’impressione che a fronte della delusione che ha rappresentato Berlusconi con le sue promesse tradite, derivate dalla mancata rivoluzione liberale in quanto a lavoro e benessere per tutti, senza accettare le critiche e le proposte di modelli di Italia differenti, si sia preferito incolpare tutti nella stessa misura.

Ma è evidente che quando si condannano tutti indistintamente, a guadagnarci sono coloro che hanno più demeriti dato che vengono messi al pari di coloro che ne hanno meno. Da qui il termine qualunquismo. Ma da dove nasce questa parola? Nel febbraio del 1946 fu fondato a Roma il Fronte dell’Uomo Qualunque dal giornalista Guglielmo Giannini. Questa formazione nacque come movimento e successivamente divenne un partito a tutti gli effetti. Aveva come scopo il dar voce all’uomo di strada, senza ideologie o ambizioni, ma con la sola pretesa di “tirare a campare”. Quell’esperienza durò molto poco e fu sciolto dopo nemmeno 3 anni. De Gasperi lo attaccò duramente definendolo un partito filofascista, allo stesso modo il PCI che dichiarava: “L’Uomo Qualunque è un movimento che costituisce al tempo stesso una sopravvivenza e un’anticipazione del fascismo […] i suoi dirigenti […] sono tristi speculatori delle sventure d’Italia, torbidi giocolieri che tentano di riesumare il fascismo vestendolo da pagliaccio“.

Non è la prima volta che il Movimento 5 Stelle viene associato a l’Uomo Qualunque di Giannini. Al tempo quel movimento implose proprio quando si trattò di dover governare e prendere delle responsabilità decisionali. Oggi sta succedendo la stessa cosa ai grillini. Criticare e fare dei moralismi è molto semplice quando non bisogna esporsi direttamente. Le analisi possono essere impeccabili e ricevere il plauso di migliaia di persone, che siano in una piazza o su un social network. Quando si tratta invece di concretizzare quanto si dice e di immergersi in sistemi complessi allora tutto è diverso.

Quando la politica non è accompagnata da degli ideali e da una formazione, ma soltanto dalla protesta e dalle risposte semplici, non può che generare dei fenomeni distorti. Per questo c’è bisogno di più politica e di più complessità, diversamente da quanto negli ultimi anni si è fatto con le semplificazioni ugualitarie del mettere tutti sullo stesso piano. Altrimenti il risultato è quanto sta avvenendo a Roma, dove spero che, quando questa pessima figura sarà giunta al culmine, ce lo comunicheranno e non ci lasceranno all’oscuro anche di questo. Sempre più #RAGGIrati.

Filippo Piccini

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