Il terremoto degli scorsi giorni avvenuto ad Amatrice e con ripercussioni in tutto il Centro Italia è ciò di cui, giustamente, più ci si è interessati in questa settimana e di cui ancora si parla e si discute. Inizialmente la priorità era occuparsi delle persone da soccorrere, successivamente si è parlato di come ricostruire e ricominciare da zero. Nel mezzo, le polemiche.
La prima dichiarazione provocatoria, apparsa praticamente il giorno dopo il sisma, è stata quella di Bertolaso che ha esortato a non lasciare gli immigrati negli alberghi e gli sfollati nelle tende.. Bertolaso che inevitabilmente ricorda il terremoto avvenuto a L’Aquila nel 2009, quando era a capo della Protezione Civile e per il quale è stato poi indagato per omicidio colposo plurimo, dato che in un’intercettazione svelava che i sismologi inviati una settimana prima della catastrofe servivano soltanto come operazione mediatica per tranquillizzare la gente e non per valutare concretamente i rischi. Operazioni mediatiche che in quegli anni andavano per la maggiore e che proprio a seguito del terremoto de L’Aquila portarono l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi all’apice della sua popolarità con un 75% di italiani che ne approvava l’operato. Caschetto sempre in testa, signore baciate e graziate per strada, nonché G8 convocato proprio a L’Aquila (mirabile l’immagine della Pezzopane con Obama) enfatizzarono non in modo duraturo ciò che poi sarebbero state le new town che cadevano a pezzi e gli scandali degli imprenditori che ridevano pensando ai soldi che avrebbero fatto con la ricostruzione. Di fatto oggi L’Aquila è ancora una città fantasma, esteticamente ed economicamente.
Sempre in tema di immigrati, è girata addirittura una notizia falsa impaginata e scritta come se fosse stata battuta da LaRepubblica, dove si dichiarava che gli immigrati che scavavano sotto le macerie lo stavano facendo soltanto per recuperare i corpi dei propri connazionali, prendendo come immagine una foto del terremoto di Haiti di qualche anno fa.
Non sono mancate poi le sempre virali richieste di donare dei soldi di qualcuno, nella specie della Sisal con il montepremi del superenalotto, per rimborsare le vittime del terremoto. Un invito che non si spiega dato che una società privata con il proprio capitale e i propri soldi decide autonomamente cosa fare, per vincoli di bilancio e piani aziendali già approvati, e non si sognerebbe mai di sostituirsi ad un ente ben più ricco e “infallibile”, ovvero lo Stato. Ulteriori pillole di saggezza sono giunte a condire il tutto da alcuni personaggi un po’ dimenticati e forse tagliati fuori, come Fiorello, che ha invitato a non fidarsi dei soldi che verranno devoluti in beneficenza dal mondo dello spettacolo.
Dulcis in fundo, la polemica di ieri che ha riguardato il proprietario di Facebook, Mark Zuckerberg dopo aver dichiarato di voler donare 500mila euro in ads pubblicitari alla Croce Rossa Italiana. Si sono fatti subito sentire, gli sciacalli del web, spinti dall’indignazione della donazione in visibilità piuttosto che in soldi veri, come se il poter, ad esempio, pubblicizzare le attività di recupero e assistenza che si faranno sui territori colpiti non sarà ugualmente utile e proficuo. In questo caso, dato che il 32enne di Palo Alto è colui che permette loro di scrivere anche queste baggianate, avrebbero potuto per decenza tacere.
Personalmente in questo tipo di approccio, spinto spesso dal razzismo e dall’intolleranza, che sfocia poi nel qualunquismo e nel populismo dei partiti “contro il sistema” (che ultimamente ricevono un gran numero di consensi) io vedo una matrice ben precisa. Non so quanti dei nostri lettori ricorderanno la Vichi di Casapound interpetata da Caterina Guzzanti, quando durante un discorso qualsiasi inseriva sempre la domanda “E allora le Foibe?” per strumentalizzare un argomento controverso, che non c’entrava però assolutamente nulla con il resto del discorso. Credo che una mentalità di questo tipo, adottata qualche anno fa dal seguito dell’estrema destra nel citato sketch satirico molto ben raffigurato, è prolificata e ha trovato un bacino ben più ampio sotto diversi nomi. In questa confusione generalizzata, che si alimenta dalla voglia di semplificare e di accorciare i tempi, hanno sicuramente la meglio coloro che le sparano più grosse urlando di più.
Mi sento comunque di dire che in tanta spazzatura, qualcosa di nuovo e di interessante è emerso sicuramente e già il fatto che se ne sta parlando e sta passando il messaggio che le notizie esagerate possono anche essere delle bufale, è un buon segno per maturare dei possibili anticorpi mediatici. Il direttore Enrico Mentana, rispondendo ad uno dei numerosi commenti decerebranti, ha coniato un nuovo termine “webete” per indicare chi, quando formula un’opinione, non solo non pensa e non si informa, ma non accetta neanche alcun tipo di contraddittorio dimostrabile. Premesso che speculare in questo modo su una tragedia che è costata quasi 300 vite sepolte sotto le macerie di Amatrice e dintorni è cosa più che spregevole, considero il profilo di nuovo conio tipico di chi, consapevole della propria arretratezza e delle proprie carenze culturali, non potendo raggiungere livelli intellettivi più elevati di quelli che possiede, inventa e manipola quel poco che sa. Ma in questo modo non valorizza neanche quel quasi nulla di valido che possiede, anche perchè, come ormai è scientificamente noto, passare troppo tempo a lamentarsi spegne i neuroni propri e di chi si ha attorno.
Filippo Piccini