“È una mia ossessione, che gente diversa, in posti diversi, stia pensando la stessa cosa, ma per motivi diversi. Io cerco di fare film che stabiliscano un contatto fra questa gente”. Il 27 giugno, se un destino senza regole o un caso particolarmente beffardo non ci avesse messo lo zampino, Krzysztof Kieslowski avrebbe compiuto 75 anni, e chissà di quanti capolavori i nostri occhi e la nostra mente avrebbero potuto beneficiare, se il suo cuore non si fosse arrestato in un giorno di marzo di vent’anni fa.
Ne è passato di tempo da allora, molte cose sono cambiate e non sempre in meglio, eppure rivedere oggi un suo film, diventa un’esigenza quanto mai attuale. Il cinema di Kieslowski, è tutt’altro che facile da spiegare e se cercassimo qualche vano tentativo per farlo, finiremmo per diventare pedanti, perchè il suo è un cinema che va ben oltre una storia da raccontare o un intreccio da sbrogliare. Il regista polacco in tutte le sue opere parla di emozioni e sentimenti, che attanagliano la vita dei suoi protagonisti, non perdendo mai la speranza, che comunicare sia possibile. Ma per poter comunicare, non bisogna aver paura di mostrarsi deboli, condividendo i propri problemi, senza fingere a tutti i costi, una forza che si possiede solo in apparenza.
Nulla si può contro la potenza e le strane traiettorie della vita ed è proprio per questo, che abbiamo scelto di analizzare “La doppia vita di Veronica”realizzato nel 1991. La storia, si sviluppa inizialmente attorno alla figura di una cantante lirica cardiopatica, per poi trovare la giusta direzione nella vita parellela di due donne identiche, che vivono in parti diverse del mondo e che finiranno inconsapevolmente per scoprire la loro esistenza. Weronika e Veronique, la prima polacca la seconda francese, un’esistenza basata sulla mancanza materna che determinerà le loro scelte. Weronika non vive la vita, la sente, la percepisce, non si sottrae alla sua straordinaria energia, come nella splendida sequenza iniziale, dove è l’unica a non trovare riparo dalla pioggia, ma a continuare la sua esecuzione canora. E sarà proprio questo suo non opporsi a esserle fatale. Morirà durante il suo primo concerto, su dei versi cantati ispirati al Paradiso dantesco proprio ad un passo dalla sua affermazione artistica. E la sua sensibilità, la porterà ad intravedere per qualche istante Veronique, il suo doppio, la sua parte mancante, quella più razionale e forse meno ispirata.
Con questo film Kieslowski, rompe il sostrato della realtà individuale, insinuandovi il tema del doppio. La prima parte della storia, che vede protagonista Weronika è la più affascinante, la più ipnotica, attraversata da un’atmosfera impalpabile dove le emozioni e i sentimenti della giovane cantante tracciano le coordinate, che porteranno in seguito Veronique nella stessa direzione. Quando Weronika muore, qualcosa nella sua vita comincia a mutare: sente di dover cambiare percorso, di dover comprendere qual è il motivo dell’improvvisa solitudine che la divora e che sembra allontanarla da tutto.
In un lungo itinerario, che si concluderà nel ricongiungimento con quella se stessa sconosciuta, Veronique prenderà a decifrare i segni lasciati dal passaggio di Weronika, come a volerne raccogliere e incanalare l’energia dispersa dalla morte. Ma nella solitudine non si può colmare il vuoto dell’assenza, ecco perché diventa fondamentale la presenza di Alexandre scrittore e fabbricante di marionette, che attraverso il suo amore la condurrà a riappropriarsi dell’altra parte di sé.
Il mondo di Kieslowski è un mondo senza certezze, ed è proprio quest’assenza a rendere l’atto di vivere grande e meraviglioso. La vita per lui era già un miracolo inspiegabile, che non ha bisogno di uno sguardo di un Dio per manifestarsi, ma di molte altre domande che non contengono risposte, ma una forza innarrestabile che non tarda a manifestarsi.
Laura Pozzi