Di cosa tratta oggi la nostra rubrica di scienze? Dell’omonima opera di Klimt? Del visionario film di Malick? Del biblico albero del giardino dell’Eden? Ovviamente no, parliamo di biodiversità!
Oltre ad essere una bella e suggestiva immagine, in biologia, l’albero della vita è una rappresentazione del vivente e delle sue relazioni evolutive. Date le premesse (l’evoluzione) è lecito dedurre che i primi alberi di questo tipo furono delineati nell’800. In effetti la corretta definizione è albero filogenetico, perché la filogenesi è il processo evolutivo che, tramite relazioni di discendenza, lega fra loro le specie.
La struttura dell’albero, con i suoi rami progressivamente più sottili e diversamente distanziati, si presta alla perfezione ad illustrare le relazioni che legano fra loro gli organismi viventi; si può pensare di partire dall’origine della vita, simboleggiata dalla parte inferiore dell’albero, seguendo poi le ramificazioni dei diversi phila, classi, ordini.. fino ad arrivare al livello di specie.

Un albero filogenetico che illustra le relazioni di base che sussistono fra i grandi gruppi biologici
Gli alberi filogenetici possono differire per le caratteristiche in base alle quali vengono costruiti, che siano anatomiche, genetiche o paleontologiche, o per struttura, con o senza “radice”, ossia se mostrano o meno informazioni sulle relazioni evolutive dei rami. In ogni caso tutte le ricostruzioni si prefiggono l’onorevole e non semplice scopo di tradurre in uno schema la complessità del vivente.
Esistono tantissime rappresentazioni dell’albero filogenetico, alcune più artistiche, nella maggior parte dei casi con valore scientifico anche se, evidentemente, commisurato al periodo storico e, quindi, alla conoscenza specifica che lo contraddistingue. Anni di lavoro hanno permesso a studiosi appartenenti ad 11 centri di ricerca in tutto il mondo di costruire il più completo albero filogenetico possibile al giorno d’oggi. Il frutto di tanto lavoro è disponibile online per gli studiosi e gli appassionati di tutto il pianeta, in un’ottica di continuo miglioramento e collaborazione reciproca.
A dimostrazione che le informazioni a nostra disposizione aumentano di continuo grazie agli studi genetici, la settimana scorsa i ricercatori dell’Università della California hanno pubblicato su Nature Microbiology la scoperta che li ha portati a proporre un nuovo albero della vita.
La scoperta è che la maggior parte della biodiversità che abita il pianeta è costituita da specie di recentissima individuazione. Specie batteriche.
Si tratta di organismi, spesso parassiti o simbionti, che non possono essere prelevati dall’ambiente in cui si trovano o, comunque, difficili da coltivare in laboratorio (come gli estremofili, che vivono in condizioni di temperatura, salinità o pH estremi o parassiti, come quelli del nostro apparato digerente), cosa che ha evidentemente ritardato il loro riconoscimento. Parliamo di oltre 1000 nuovi tipi di batteri individuati negli ultimi 15 anni dai ricercatori di Berkeley, ossia da quando gli scienziati hanno potuto ricercare il genoma dei batteri direttamente nell’ambiente, senza la necessità di coltivarli in laboratorio.
Comprensivo di 92 phyla di batteri, 26 phyla di archeobatteri e tutti e cinque i supergruppi di Eucarioti, il nuovo albero non scende nel dettaglio a livello di classi, ordini, famiglie, generi e specie, anche perché non sarebbe bastato il telo di un paracadute.
In questo diagramma gli apici dei rami rappresentano gli organismi odierni, collegati al tronco dai rami che ne spiegano le relazioni evolutive. Un ramo che si biforca all’ultimo significa che le due cime hanno un antenato comune recente, più la biforcazione è vicina al tronco, più l’antenato comune è vissuto in un momento remoto nel tempo.
La grossa novità di questa rappresentazione è costituita dalla parte viola chiamata “candidate phyla radiation”. Essa racchiude esclusivamente batteri simbiotici che sembrano essere in via di rapida differenziazione e al suo interno troviamo circa la metà della diversità evolutiva dei batteri a noi nota. I ricercatori, non potendo isolarli per via del loro “stile di vita”, hanno dovuto prelevare intere comunità batteriche da analizzare.
Osservando l’albero non si può non rimanere colpiti dal fatto che la grandissima parte della diversità del pianeta sia composta da batteri. Microscopici organismi che, parliamoci chiaro, molti di noi “schifano” ma che sono onnipresenti, numerosissimi e di fondamentale importanza per tutti gli altri esseri viventi. Non si sarebbe sviluppata altra vita sulla terra se alcuni di loro non avessero iniziato ad effettuare la fotosintesi, non sarebbero possibili i cicli degli elementi se molti di loro non trasformassero di continuo la materia che li contiene, non potremmo svolgere alcune funzioni se i nostri corpi non fossero da loro abitati.
Per darvi un’idea di dove sono collocati gli organismi a noi più familiari, nello schema le piante sono in basso a destra, fra gli Archaeplastidia.
Noi siamo, sempre fra gli Eucarioti, nel gruppo chiamato Opisthokonta. Insieme ad animali, funghi e alcuni microorganismi.
Piccoli piccoli, vero?

Un aiuto a “ridimensionarsi”
Per chi avesse notato i gruppi chiamati Thor e Loki vorrei solo dire che anche i microbiologi a volte, nei loro laboratori, devono passare il tempo!
Esistono ancora parecchie relazioni evolutive da chiarire, soprattutto per quanto riguarda i microrganismi, e, probabilmente, ancora molti nomi di supereroi da attribuire.
I batteri non costruiscono città e non hanno una vita sociale molto interessante, questo è vero; ma quando il Sole esploderà, saranno ancora qui. Questo è il loro pianeta, e noi lo abitiamo solo perché loro ce lo consentono. (Bill Bryson)
Serena Piccardi