L’accordo UE-Turchia e la chiusura della rotta balcanica: tutelare i migranti o deresponsabilizzare l’Europa?

23 Marzo 2016: Medici Senza Frontiere e l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) lasciano Moria, l’hotspot di Lesbo che da centro di identificazione e registrazione nel database Eurodac dei migranti appena sbarcati è divenuto un luogo di detenzione. Anche Save The Children valuta la possibilità di sospendere le attività di assistenza e altre ONG interrompono il trasporto dei rifugiati verso Moria. La struttura ha subito una rapidissima metamorfosi con l’entrata in vigore del vago accordo UE-Turchia: coloro che hanno raggiunto l’isola sono stati segregati nelle baracche contro la loro volontà, privati dei telefonini, senza la possibilità di muoversi nella struttura presa in carico dalla polizia.

Fila a Moria per la richiesta di asilo politico

Fila a Moria per la richiesta di asilo politico

Dopo la registrazione negli hotspot, strutture site nei Paesi più esposti ai nuovi arrivi, il programma europeo di ricollocamento prevede il trasferimento dei rifugiati in centri di accoglienza degli Stati disposti ad ospitarli, con il paradossale limite dell’inesistenza di un sistema che imponga realmente la condivisione dell’onere e dell’onore di dar risposta ai bisogni di tanti disperati.

Come sappiamo, gli ostacoli che coloro che cercano di raggiungere l’Europa devono affrontare non si esauriscono con il lungo e pericoloso viaggio e il sistema dell’accoglienza è destinato al rapido collasso senza l’attivarsi di efficienti meccanismi di redistribuzione.

Ma chi sono i migranti, quali sono i canali per arrivare in Europa e cosa ha generato la situazione odierna?

I migranti sono da sempre lo strumento della politica continentale per spostare l’attenzione dai problemi reali a quelli indotti e aggregare consensi, anche con preoccupanti derive xenofobe. Secondo Unhcr sono 875mila i migranti e profughi arrivati in Europa tra il 2008 e il 2015. Anche se tutti fossero rimasti in Europa, si tratterebbe dello 0,17% dei 507 milioni di abitanti che compongono la popolazione europea. Se anche per assurdo tutti i siriani e gli eritrei si trasferissero in Europa, l’incremento della popolazione toccherebbe appena il 5%. Fortunatamente le migrazioni esistono e se non ci fossero bisognerebbe inventarle, il che è in qualche modo quanto è accaduto con i discutibili interventi in Medioriente, le ingerenze esterne, la cessione di armi e i paradossali “interventi umanitari”. In barba a questa realtà, buona parte dell’opinione pubblica non considera le responsabilità dell’Occidente nella destabilizzazione di quelle aree che generano i flussi migratori e vede l’accoglienza come un caritatevole intervento legittimamente declinabile.

Gli ultimi attentati terroristici hanno portato in primo piano il tema del controllo delle frontiere europee e il trattato di Schengen, che definisce l’area di libera circolazione tra i Paesi europei (22 UE più 4 non membri) ed è ormai messo in discussione (la sospensione temporanea è prevista dal trattato stesso, ma solo in situazioni in cui è a rischio la sicurezza nazionale).

Le principali rotte seguite da coloro che cercano di raggiungere l’Europa clandestinamente sono sei:

Clandestini arrivati nel 2015 attraverso le principali rotte migratorie

Clandestini arrivati nel 2015 attraverso le principali rotte migratorie

Rotta del Mediterraneo Centrale: dall’Africa Settentrionale e negli ultimi anni sempre più spesso dalla Libia, dove vengono convogliati i disperati in fuga dai Paesi dell’Africa Sub Sahariana e dal Medioriente. Questa rotta è percorsa soprattutto da uomini, che affrontano il viaggio verso Italia e Malta su imbarcazioni sempre più precarie. Con l’acuirsi dell’instabilità della Libia è divenuta la via principale usata dai trafficanti di esseri umani, accrescendo esponenzialmente il numero di migranti arrivati attraverso questa rotta.

Rotta del Mediterraneo Orientale: ha una prima diramazione via mare, una seconda via terra ed è percorsa soprattutto da siriani, afgani, somali ed iracheni. Secondo fonti Frontex nel 2014 più di 50.000 persone l’hanno percorsa spostandosi dalla Turchia e dalle aree limitrofe verso la Grecia e in quota inferiore verso Bulgaria e Cipro, con l’esponenziale aumento dei flussi nel 2015.

Rotta del Mediterraneo verso la Puglia e la Calabria: dalle coste turche e  greche arriva in Puglia e Calabria. È percorsa da siriani, pakistani e altri migranti in transito dal Pakistan, che si spostano verso l’Italia con grosse navi cargo. La chiusura della rotta balcanica sta bloccando in Grecia migliaia di profughi, di conseguenza è previsto un aumento dei flussi migratori lungo questa rotta.

Rotta del Mediterraneo Occidentale: va dall’Africa settentrionale alla Spagna e secondo Frontex nel 2014 è stata percorsa per la maggioranza da migranti in fuga dal Camerun, Algeria e Mali.

Rotta Orientale: è attualmente tra le meno percorse, nella prima metà del 2015 erano meno di 1.000 i profughi arrivati in Europa seguendo questa via.

Rotta Balcanica: i migranti dalla Turchia si spostavano attraverso l’Egeo e le isole greche più vicine, in particolare Lesbo, Chio, Samo, Kos e Rodi, da dove raggiungevano Atene e si dirigevano verso la Macedonia per puntare poi verso la Serbia. Prima della costruzione di muri alle frontiere con Serbia e Croazia i rifugiati passavano per l’Ungheria, successivamente attraverso la Croazia (in UE ma fuori Schengen) e Slovenia (dentro Schengen) per varcare il confine con l’Austria e arrivare in Germania.

Nel 2015 la rotta balcanica è stata la più percorsa, con un incremento del 117% rispetto alle 43.357 persone dell’anno precedente. La posizione della Turchia, alle porte della Grecia e al confine con la Siria, ha reso questo percorso l’alternativa al passaggio attraverso una Libia pericolosa e devastata, dove i migranti prima della partenza subiscono torture e incarcerazioni. La congestione di questa rotta ha fatto saltare definitivamente Dublino: i Paesi d’approdo (ora prevalentemente Grecia, fino alla scorsa estate soprattutto Italia) non hanno i mezzi per accogliere le centinaia di migliaia di profughi, i quali tentano di attraversare il nostro Paese e le isole dell’Egeo verso il Nord Europa senza essere stati registrati. Ciò viola il regolamento di Dublino, che prevede la presentazione della richiesta di protezione internazionale da parte dell’aspirante rifugiato nel primo Paese UE in cui mette piede, e lì è previsto venga rispedito qualora venisse identificato in un altro Stato. È quindi comprensibile il tentativo dei migranti di sfuggire a una trappola burocratica e fisica, che li rende tendenzialmente vittime di un sistema imbrigliato e inadeguato.

Nei fatti la rotta risulta chiusa (Marzo 2016) in quanto Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia hanno limitato l’accesso al loro territorio ai soli cittadini europei. A seguito della chiusura l’Ungheria ha rafforzato i controlli alle frontiere e proclamato lo stato di crisi, oltre ad aver annunciato la costruzione di un nuovo muro con la Romania per bloccare un eventuale flusso di migranti che dovesse sceglierla come Paese di transito.

La Cancelliera Angela Merkel sostiene sia improprio parlare di chiusura in quanto, seppure in quantità inferiore, centinaia di migranti arrivano in Germania ogni giorno.

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Crisi migranti, UE parla di chiusura delle frontiere nei Balcani, The Guardian

La nota apertura della Germania ai migranti, più precisamente a una specifica categoria, ha radici economiche più che umanitarie. L’economia tedesca, per anni presa a modello in tutta Europa, è più fragile di quanto caratterizzata da bassi salari e troppo dipendente dalle esportazioni. La domanda interna è bloccata da oltre un decennio e l’elevatissimo livello di produttività è possibile solo grazie ad una politica di compressione dei salari, a sua volta favorita dall’enorme quantità di migranti disposti a lavori sottopagati, che contribuiscono a tamponare la carenza di mano d’opera. La Germania è inoltre tra i Paesi più anziani al mondo (con Giappone e Italia), ha quindi un tasso demografico che non consente la sostituzione della popolazione attuale, con aggravio sul sistema sanitario e pensionistico. Il rifugiato siriano che la Germania è particolarmente propensa ad accogliere ha spesso una scolarità medio alta e rappresenta quindi un beneficio economico per il Paese.

Potremmo rispondere che tutto sommato poco contano le ragioni che hanno portato la Germania ad aprire le porte ai migranti, se il risultato è stato favorevole per entrambe le parti. Ma porte che si aprono per le ragioni sbagliate si chiudono facilmente con buona pace dei malcapitati quando emergono nuove priorità. Ed è così che si passa rapidamente dall’apertura alla chiusura della rotta di accesso alla Germania e alla selezione dei più “utili”.

Le politiche sempre più restrittive ai confini dei vari Paesi lungo la rotta balcanica respingono e bloccano i migranti solo sulla base della loro nazionalità (ammessi siriani, iracheni e afghani), senza considerarne la situazione personale e violando quindi la Convenzione di Ginevra. Le scelte politiche delle nazioni che hanno chiuso i propri confini, fissato arbitrariamente le quote o rifiutato la ricollocazione nel proprio territorio, mostrano i limiti di un sistema per nulla integrato, di un’Unione Europea che per l’ennesima volta si fatica a definire “unione”. Ma c’è dell’altro: non si tratta solo di scelte arbitrarie, infatti lo stesso Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha dichiarato “Il flusso irregolare di migranti lungo la rotta dei Balcani occidentali è finito. Non è una questione di azioni unilaterali, ma una decisione comune a 28”.  Il Consiglio dei 28 capi di Stato e di governo è infatti riuscito a raggiungere il citato accordo UE- Turchia, che blocca i maxi flussi di profughi diretti principalmente in Germania chiudendo la rotta balcanica e prevede quanto segue:

1) Tutti i nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche a decorrere dal 20 marzo 2016 saranno rimpatriati in Turchia.  I migranti che giungeranno sulle isole greche saranno registrati e qualsiasi domanda d’asilo sarà trattata individualmente dalle autorità greche conformemente alla direttiva sulle procedure d’asilo. I migranti che non faranno domanda d’asilo o la cui domanda sia ritenuta infondata o non ammissibile saranno rimpatriati in Turchia.

2) Per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche un altro siriano sarà reinsediato dalla Turchia all’UE tenendo conto dei criteri di vulnerabilità delle Nazioni Unite. La priorità sarà accordata ai migranti che precedentemente non siano entrati o non abbiano tentato di entrare nell’UE in modo irregolare.

3) La Turchia adotterà qualsiasi misura necessaria per evitare nuove rotte marittime o terrestri di migrazione irregolare dalla Turchia all’UE e collaborerà con i paesi vicini nonché con l’UE stessa a tale scopo.

(Per il testo integrale: http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2016/03/18-eu-turkey-statement/)

Dall’altro canto l’accordo prevede concessioni politiche a favore della Turchia, come la possibilità per i suoi cittadini di viaggiare senza limitazioni nei confini dell’area Schengen e la riconsiderazione della richiesta di ingresso nell’Unione Europea.

Dal 20 marzo i migranti irregolari sbarcati nelle isole elleniche vengono quindi rispediti forzosamente in Turchia. Questa a sua volta invia alla Grecia “rifugiati legali” da ricollocare in Europa.

Pochi giorni dopo l’avvio del nuovo sistema gli attivisti hanno accusato le autorità di portare i richiedenti asilo fuori da Moria e imbarcarli con l’inganno, rimpatriandoli prima che abbiamo fatto richiesta di asilo. Il diffondersi di questa notizia ha scatenato la rivolta: a Chios i profughi hanno abbattuto le barriere del campo di detenzione per sfuggire alla deportazione. È poi vergognoso che coloro i quali hanno tentato precedentemente di entrare in Europa illegalmente, spesso per tutelare la propria vita, vengano puniti togliendo loro la priorità nei meccanismi di selezione per l’insediamento legale.

Angela Merkel è stata la principale promotrice della collaborazione tra Bruxelles e Ankara: si preferisce pagare con 6 miliardi di euro la Turchia, che ha dimostrato gravi carenze nel rispetto dei diritti umani, perché faccia il lavoro sporco gestendo l’ “esodo” dei migranti. Nonostante la ratifica della Convenzione sui rifugiati del 1951, il Paese di Erdogan è l’unico al mondo che prevede il riconoscimento dello status di rifugiato ai soli cittadini europei. Human Rights Watch ricorda che non protegge efficacemente i rifugiati e ha più volte spinto i richiedenti asilo verso la Siria.

Crea allerta l’estrema pericolosità del tratto via mare tra Turchia e Grecia e il protagonismo dei trafficanti di esseri umani. Questi riescono facilmente a intercettare i migranti, che nella speranza di evitare la spedizione in centri temporanei per un tempo imprecisato, si consegnano ad essi per attraversare i confini illegalmente.

La Grecia è il Paese più a rischio lungo questa rotta e messa in ginocchio da anni di crisi economico-finanziaria ha estremo bisogno di mezzi, tempo, risorse economiche, mediatori e funzionari per registrare le richieste d’asilo. Ma le ricollocazioni in altri Paesi UE sono bloccate, mentre altri disperati si aggiungono a quelli già presenti e ai 53mila intrappolati dal blocco della via balcanica. I primi numeri ci mostrano che per ogni due migranti deportati, dalla Turchia ne arrivano tre che dovranno essere rispediti indietro. Se il trasferimento dalla Grecia alla Turchia riuscirà è poi inevitabile che cerchino nuove strade per l’Europa, affidandosi nuovamente a trafficanti di esseri umani.

Le prospettive future sono allarmanti e già in questi primi mesi emergeranno le conseguenze di scelte dubbie, che hanno allertato le principali organizzazioni umanitarie e non solo.

 

Martina Masi

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