Roma, Santa Maria Antiqua, allestimento interno in occasione della mostra (photo credits: Gaetano Alfano)
Bentornati nella nostra rubrica d’arte. Un vero tesoro ci è stato appena restituito alla visita, una chiesa sconosciuta ai più, incastonata in un complesso archeologico, quello del Foro Romano, che non lascia intuire la sua presenza.
Così, andando in direzione del Tempio dei Castori e dirigendosi verso le pendici del Palatino, ci si trova di fronte ai resti di edifici voluti dall’imperatore Domiziano che fungessero da raccordo tra l’area del Foro e i sovrastanti palazzi imperiali. Qui, nella seconda metà del VI secolo, si decise di impiegare l’antico vestibolo e l’antistante quadriportico e di convertirlo in chiesa da dedicare al culto della Vergine, che proprio in quegli anni stava conoscendo un’ampia diffusione.
Non deve stupire la scelta di reimpiego e riadattamento di un edificio preesistente, per di più in uno dei luoghi più significativi della vita sociale pagana: era appena terminata la guerra goto-bizantina (537-557) che aveva quasi completamente spopolato la città e di conseguenza le sue ricchezze. L’unica strada che sembrò ragionevole intraprendere per garantire una timida ripresa passava anche per il riuso delle strutture preesistenti. Perciò la nuova corte bizantina prese possesso dei palazzi imperiali sul Palatino e concepì la sottostante chiesa di Santa Maria Antiqua alla stregua di una cappella palatina. E come ogni cappella palatina che si rispetti, fu provvista di decorazioni importanti, che spaziavano dall’uso dell’opus sectile (la tecnica che impiegava sottilissimi fogli di marmo per realizzare decorazioni murarie ad intarsio) ai vasti cicli pittorici che ornavano le intere pareti delle navate, dell’abside e delle due cappelle presbiterali. Nei vari interventi di aggiornamenti stilistici che si susseguirono nella breve storia di questa chiesa (un terremoto nell’847 fece crollare parte della chiesa e si decise di abbandonarla) anche le colonne furono completamente dipinte.

Santa Maria Antiqua, ciclo pittorico sulla navata sinistra (metà VIII secolo,
photo credits: Guido Montani
Questa ricchezza di decorazioni tradiva un’importanza di questo luogo di culto che non è subito percepibile, ma che l’attuale mostra organizzata in occasione della riapertura contestualizza bene: qui era custodita la più antica icona mariana pervenuta forse direttamente dalla stessa Costantinopoli, ora nota come Madonna del Conforto e attualmente ospitata nella sacrestia della vicina chiesa di Santa Maria Nova (ora intitolata a Santa Francesca Romana). Quindi, per qualche mese, si può dire che l’icona è tornata nella sua originaria “casa”, e l’evento straordinario è stato suggellato da una processione all’interno del Foro che si è svolta lo scorso 15 marzo.

Icona della Madonna del Conforto (encausto su lino, photo credits: Gaetano Alfano)
L’icona in questione, parlando fuori dai denti, ci appare ai limiti dell’antiestetico, tanto da rendere poco comprensibile la sua importanza, se si esclude un mero fattore devozionale. Ma la realtà è un’altra, e non facilmente percepibile. Quello che ora si vede è il risultato di interventi integrativi fatti in epoche diverse che hanno stravolto completamente l’immagine originale. Innanzitutto, identifichiamola: è una Madonna Odigìtria (“Colei che indica la via”), nella quale la Madonna tiene in braccio il Cristo Bambino (colto nel gesto di benedire e tenere in mano un rotolo, che lo identificherebbe come “Verbo di Dio”) e con l’altro braccio lo indica. I due volti della Vergine e del Bambino, eseguiti con la tecnica ad encausto su tela di lino, sono probabilmente stati dipinti nella seconda metà del VI secolo, ma appartenevano ad una icona più grande rispetto a quella attuale. Le fonti parlano di un incendio che rovinò l’icona, tanto da decidere di darle una nuova dimensione, riadattando in una proporzione più piccola le figure sante e adeguando al gusto duecentesco volti e vesti, più volte ritoccati nel corso dei secoli, fino alla scoperta e conseguente restituzione dell’aspetto attuale a seguito del restauro del 1953, quando fu ritrovata la pittura originale. La pratica del ridipingere le icone era ben accettata in passato: prima che si sviluppasse l’attuale sensibilità ai temi conservativi e di restauro, valeva la regola del perpetuare l’immagine santa, noncurante del risultato delle ridipinture che, come in questo caso, arrivarono a celare del tutto la pittura originale, facendone dimenticare le fattezze di ascendenza bizantina.

Santa Maria Antiqua, Cappella di Teodoto (750 ca.) con decorazioni in opus sestile, scena di Crocifissione e Storie dei Santi Quirico e Giulitta
La particolarità di questa chiesa risiede proprio nell’essere il più antico esempio di pittura bizantina a Roma e tra le poche testimonianze di uno stile pressoché scomparso a seguito della furia iconoclasta abbattutasi nella lontana Costantinopoli dal 726. Quindi troviamo qui delle rappresentazioni che potremmo anche definire rare o veri e propri unicuum, proprio a seguito della scomparsa di ulteriori rappresentazioni. Ad esempio, nella cappella a sinistra della zona absidale, intitolata a Teodoto, è presente una crocifissione che può essere considerata l’unica rappresentazione che presenti una matrice siro-palestinese, dove compare un Cristo crocifisso vestito con il colobium, una veste monacale, e non presenta i classici piedi inchiodati sovrapposti. Ma quelle che ci appaiono come novità iconografiche, unite alle caratteristiche delle pitture bizantine (rappresentazione gerarchica in base all’importanza dei personaggi della scena; fissità di sguardi e dei movimenti per sottolineare la ieraticità delle figure), si mescolano ad un nascente linguaggio che recupera un certo realismo rintracciabile nel movimento dei soldati che infliggono ulteriori torture al corpo di Cristo.

Santa Maria Antiqua, Cappella di Teodoto, Crocifissione (prima metà dell’VIII secolo, photo credits: Gaetano Alfano)
Ma ancor di più fu significativo il rinvenimento di una porzione di parete, quella a destra accanto all’abside, in cui le cadute di frammenti dipinti svelarono una realtà inaspettata: erano stratificati i vari interventi pittorici (se ne sono contati sette, di ci cinque figurativi) che interessarono la chiesa, promossi da almeno quattro papi. La cosiddetta “parete palinsesto” si presenta come una scena che non ha una continuità nel raccontare le sue storie, e anche all’occhio meno attento risulta evidente che siano compresenti stili differenti.

Santa Maria Antiqua, “parete palinsesto” (seconda metà VI secolo – prima metà IX secolo, photo credits: Gaetano Alfano)
Il più antico è quello raffigurante la Madonna in trono con il Bambino e un angelo genuflesso (VI secolo). La Vergine è abbigliata come una basilissa orientale, come possiamo ancora vedere nella figura di Teodora dei mosaici ravennati in Sant’Apollinare Nuovo o nella romana icona della Madonna della Clemenza a Santa Maria in Trastevere. Una seconda fase, riconducibile alla prima metà del VII secolo, si riconosce nei due volti mutili di una Annunciazione, in cui lo stile cambia, riprendendo il perduto naturalismo dell’arte pittorica greca. Non è un caso che, per i passaggi tonali dei colori e il caldo incarnato, questo frammento sia stato definito dagli studiosi “Angelo bello”, e a questa fase artistica si fa risalire anche l’esecuzione dell’icona mariana.

Santa Maria Antiqua, particolare dell’Angelo bello (photo credits: Gaetano Alfano)
Ma fu solo una fase: le successive recuperarono la fissità bizantina come cifra stilistica e si svilupparono nella decorazione più completa che venne eseguita, quella voluta dal papa di origine greca Giovanni VII (705-707).
Se pur con una certa reverenza riguardo la difficoltà con la quale si possano cogliere le molte sfaccettature di un’arte che non siamo più abituati a decifrare proprio per la cancellazione di molte sue testimonianze, vorrei incoraggiare la visita di questa chiesa proprio in occasione di questa mostra, perché per l’occasione sono state create delle rappresentazioni in videomapping che aiutano a capire l’importanza delle testimonianze in essa custodite. E purtroppo il soprintendente Prosperetti ha già dichiarato che, dati gli alti costi, non è garantito che queste istallazioni siano prorogabili dopo il termine della mostra, come ha fatto presente qui:
Lascio i riferimenti per la visita. Il mio consiglio, per chi ne ha la possibilità, è di approfittare delle prime domeniche del mese, quando l’ingresso all’area del Foro è gratuito. E non dimenticatevi di percorrere la Rampa di Domiziano, contigua alla chiesa e riaperta per l’occasione: sulla sua sommità si gode una bellissima visuale:
Santa Maria Antiqua. Tra Roma e Bisanzio. Roma, Foro Romano e Palatino, 17 marzo – 11 settembre 2016
http://www.coopculture.it/ticket.cfm?office=SANTA%20MARIA%20ANTIQUA%20TRA%20ROMA
Pamela D’Andrea