Fernard Khnopff, Carezze (L’Arte), (1896, olio su tela, Bruxelles, Musées Royaux des Beaux_Arts de Belgique)
Bentornati nella nostra rubrica d’arte. Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento alcuni letterati (quasi immediatamente seguiti da pittori e scultori) avvertirono che il mondo che finora conoscevano, soprattutto nei suoi aspetti sociali, stava mutando radicalmente. Non era solo una suggestione derivata dall’incombente sopraggiungere di un nuovo secolo, quanto l’intuizione che presto si sarebbe assistito al crollo del sistema di valori fino ad allora vigente e dei modelli di vita perseguiti. Si rendevano anche conto che a questo tramonto sarebbe presto seguita l’alba di una nuova poetica, alla creazione della quale contribuire, che sentivano intimamente vicina al proprio modo di sentire e alla quale dedicare la propria arte.
Questa ricerca di un nuovo linguaggio e di nuove suggestioni da trasporre si spogliava del carattere di duro e oggettivo realismo e della sicurezza positivista di alcuni assunti che fino ad allora si erano imposti per offrire piuttosto una nuova interpretazione dei temi universali, quali la Natura, l’amore, l’eros, la morte e la vita.

Francesco Lojacono, Nelumbium (1897, olio su tela, collezione privata)
Generalmente il paese cui si riconduce la prima dichiarazione d’intenti di questo nuovo percorso è ritenuto la Francia, dove effettivamente venne redatto e pubblicato su Le Figaro il Manifesto del Simbolismo a firma del poeta Jean Moréas nel 1886. Secondo Moréas l’arte ha il compito di dare una veste all’idea, una veste che abbia una forma percepibile, costituita tramite analogie e simboli che permettano di scorgere una realtà più profonda e misteriosa di quella apparente, ma la cui consistenza sfugga nella sua interezza. Per vocazione, il Simbolismo è indirizzato ad un pubblico colto, che abbia gli strumenti per tradurre e cogliere appieno i suoi contenuti. Si assistette al recupero della mitologia e della cultura classica, reinterpretata in chiave sincretica. Il risultato è sicuramente originale, e spazia dalle personificazioni di entità immateriali, come ne Il peccato di Franz von Stuck, alla creazione di nuove figure oniriche come quelle forgiate da Odilon Redon o il linguaggio ermetico delle rappresentazioni dei Nabis.

Franz von Stuck, Il peccato (1908, olio su tela, Palermo, Galleria d’Arte Moderna Empedocle Restivo)
Ritengo che gli organizzatori della mostra Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra siano riusciti nella difficile impresa di offrire una panoramica pressoché esaustiva di questo movimento culturale così complesso e declinato in così tanti linguaggi differenti quanti sono le personalità esposte.
Perché effettivamente, ogni artista è riuscito a proporre una propria visione del mondo, nella quale in alcuni casi è rintracciabile un richiamo alle cifre stilistiche di pittori contemporanei o precedenti, ma la sensibilità con cui si interpreta la propria opera ha generato capolavori che hanno indiscutibilmente la loro ragione d’essere, senza prestare il fianco al giudizio sbrigativo di mostrarsi copia di qualcun altro.

Jean Delville, Orfeo morto (1893, olio su tela, Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique)
La peculiarità che rende vincente questa esposizione risiede nel fatto di essere trasversale, un risultato non facile da ottenere, cui si aggiunge la capacità di far dialogare opere diverse, il più delle volte accostate da tematiche di fondo simili, che vengono percepite quindi come interpretazioni personali di un dato tema.
E la scoperta più sorprendente sembra essere quella della forte adesione a questo movimento da parte degli italiani. Non solo i nomi più conosciuti, come Segantini, Previati e Sartorio, ma anche artisti che attraverso un forte decorativismo sublimano atmosfere in cui immergono le proprie narrazioni, come Galileo Chini o Vittorio Zecchin.

Giulio Aristide Sartorio, Le Vergini savie e le Vergini stolte (1890-91, olio su tavola, Roma, Galleria d’Arte Moderna)
Quello che potrebbe apparire come un periodo d’oro per la pittura italiana avvertì un brusco arresto con l’avvento e i conseguenti dolori della Grande Guerra. Da lì in poi, saranno le Avanguardie ad interpretare la nuova realtà.
Ho avuto la fortuna di visitare questa mostra. E posso garantire che in questo caso, nessuna immagine colta da internet o dal suo stesso catalogo (una delle poche volte in cui posso sbilanciarmi sul consigliarne l’acquisto) può restituire il senso del colore di queste opere né, in alcuni casi, il forte effetto che dà la pennellata impiegata. Si esce quasi storditi dal numero impressionante delle opere in mostra, ma soprattutto dai tanti dettagli e dalle numerose suggestioni che meritano di essere trattenute nella memoria.
Faccio anche presente che, per chi fosse intenzionato a immergersi in quel clima fin de siècle il Palazzo Reale offre il biglietto ridotto nel caso si voglia visitare anche la mostra di Alfons Mucha.
Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra, Milano, Palazzo Reale, 3 febbraio – 5 giugno 2016
http://www.mostrasimbolismo.it/mostra-simbolismo-milano/
Pamela D’Andrea