Addio a Umberto Eco. Intellettuale spigoloso che ha sdoganato il Pop

Lo scrittore e filosofo Umberto Eco è morto. Il decesso è avvenuto nella notte nella sua casa di Milano. Aveva 84 anni. La notizia della sua morte è in apertura su tutti i siti on line della stampa mondiale. E’ stato filosofo, scrittore, e studioso dei fenomeni sociali nella loro espressione mediatica. Tra le sue opere si possono ricordare ‘Fenomenologia di Mike Bongiorno’, ‘Il nome della rosa’, ‘Il pendolo di Foucault’. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è detto “particolarmente addolorato”, Eco “era un uomo libero, dotato di un profondo spirito critico e di grande passione civile. È stato un protagonista del dibattito intellettuale italiano e internazionale”.

Un romanzo storico di ambientazione medievale, di oltre cinquecento pagine, con ampi pezzi in latino. Messa così non sembrerebbe esattamente la descrizione di un bestseller, eppure, correva l’anno 1980, “Il nome della rosa” di Umberto Eco riuscì in questa impresa. Trasformando in una star – poi sarebbe arrivato Sean Connery a prestargli un volto indimenticabile – il frate francescano Gugliemo da Baskerville, un detective deduttivo ante litteram, con le giuste ombre nel passato – l’Inquisizione – e una modernità di visione del mondo fatta apposta per illuminare un cupo monastero benedettino dove ci si batteva contro il riso e la commedia. Con il romanzo, un fenomeno mondiale da 50 milioni di copie – un risultato che da solo basta a garantire l’eternità a qualunque scrittore – e con traduzioni in 40 lingue, Eco, stimato semiologo, protagonista critico dell’avanguardia nei primi anni Sessanta e figura accademica centrale, diventa un fenomeno pop, colto, coltissimo, ma anche indubitabilmente popolare. In questo con un atto di coerenza con i suoi importanti lavori scientifici, come “Apocalittici e integrati”, nel quali aveva fatto storcere il naso ai benpensanti culturali dell’epoca andando a studiare, con la dovuta postura critica, Superman e le canzonette, Charlie Brown e il kitsch. Inconfondibile per la parlata e per la conclamata spigolosità del carattere pubblico, Eco è stato, negli ultimi 35 anni, il simbolo più noto dell’intellettuale italiano. Ma, in modo brillante e forse anche studiato, ha sempre rifiutato di farsi incasellare, rivendicando continuamente il diritto a scelte controcorrente e a posizioni fortemente critiche, come quella, celebre, della sua avversione per Silvio Berlusconi. In questo senso in Eco si poteva intravedere una sorta di vocazione al ruolo di Grillo parlante (senza riferimenti al Movimento 5 stelle, vivaddio) che ha ribadito la propria insindacabile voglia di autonomia anche negli ultimi mesi della sua vita. Lasciando la Mondadori per seguire Elisabetta Sgarbi nella fondazione della casa editrice “La Nave di Teseo, dopo che il colosso di Segrate aveva ceduto la propria divisione libri a Rcs, creando la cosiddetta “Mondazzoli”. Certo, di un autore è giusto dare conto soprattutto delle sue opere, e, per quanto riguarda la letteratura, non si può non citare un altro caso editoriale come il romanzo cospiratorio “Il Pendolo di Foucault”. Titolo forse più citato che letto, ma anche questo fa parte del gioco – ennesima dimostrazione di come si possa coniugare una erudizione ai limiti dell’irritante con la capacità di sfruttarla in modo brillante per costruire un romanzo-mondo che forse è, come oggetto letterario, perfino superiore a “Il nome della rosa”, sempre che lo si possa dire senza rischiare scomuniche. Erano gli anni Ottanta, in entrambi i casi, e i lavori di Eco, qualunque sia il giudizio che se ne vuole dare, hanno segnato il modo di pensare ai bestseller (e usiamo questo termine con serio rispetto per chi scrive libri di valore capaci di vendite imponenti), imponendo una sorta di standard immateriale con il quale si sono dovuti confrontare, con esiti alterni, ma con l’indubbia impronta, se volete, filosofica di Eco, tutti gli scrittori venuti dopo di lui. Perché quello che importava in fondo, pur con mille distinzioni e tante sentenze – non ultima quella sgradevolmente vera sulla stupidità nei social network di oggi – era guardare la cultura di massa, soprattutto in un momento in cui gli intellettuali non si scomodavano per certe frivolezze. Averlo fatto senza perdere l’aura (e talvolta pure i difetti) di un intellettuale di razza resta forse la più importante eredità popolare di Umberto Eco. La cui vita professionale assomiglia, vista oggi dal capolinea milanese, alla costruzione di un’Opera aperta, per dirla con il titolo di un suo fondamentale lavoro sull’interpretazione delle opere d’arte

fonte: askanews.it

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