Sono abitudinario, non mi giudicate, siete come me, cantavano Elio e le Storie Tese nel lontano 1989 e, in effetti, chi di noi può dire di non avere, in qualche misura, delle abitudini?
Quei gesti quasi automatici che compiamo a volte senza nemmeno accorgercene, ma che troviamo così ardui da eliminare, sono alla base di ricerche in neurologia che speriamo un giorno possano aiutare tutti quelli che proprio non riescono a smettere!
E poi, perché dovremmo?
Mi spiego meglio; ci sono abitudini ed abitudini. Molte delle abitudini che ci caratterizzano probabilmente sono importanti per la nostra vita, comportamenti abituali che ci consentono di ripetere una certa azione o operare collegamenti mentali molto più agilmente che se dovessimo ogni volta ripartire da zero. Penso a gesti semplici come controllare di aver chiuso la porta di casa o preparare la macchinetta del caffè ancora con gli occhi semichiusi ma anche alle cosiddette buone abitudini di vita, quali fare dello sport o leggere prima di andare a dormire.
Quando si parla di liberarsi dalle abitudini certo non si intendono queste piccole forme di routine né, tantomeno, dei già citati comportamenti positivi.
Esistono, infatti, le cattive abitudini, difficilissime da estirpare.
L’abitudine, per definizione, è la disposizione acquisita mediante un’esperienza ripetuta. Si tratta di un tipo di comportamento insito negli esseri umani e negli animali. C’è un motivo se esiste questo meccanismo, si tratta di una forma di adattamento all’ambiente che ci circonda e di conseguenza porta a certi vantaggi.
Quando, però, si perde il controllo di un’abitudine, questa si trasforma in dipendenza.
Ecco che il pensiero va subito al fumatore. In effetti il rito del fumo può essere descritto come una manifestazione di un circuito in cui segnale, gesto e gratificazione si susseguono in un loop. Il segnale in questo caso è il bisogno di nicotina, la routine è rappresentata dall’accensione e dal fumare la sigaretta e la gratificazione è il senso di appagamento che solo chi fuma o ha fumato capisce.
Ai comportamenti abituali è dedicata una serie di circuiti appositi all’interno del nostro cervello che ci permettono di risparmiare tempo ed energia per svolgere compiti che richiedono tutta la nostra attenzione. Nel 2014 il gruppo di ricerca capitanato da Ann M. Graybiel e Kyle S. Smith è riuscito a identificare il circuito neurale responsabile della formazione e quindi esecuzione di un comportamento abitudinario.
Lo studio ha mostrato che tale circuito si trova nello striato e lavora considerando il gesto abitudinario come un’unica unità, o chunk, di attività automatica per cui il comportamento viene messo in atto senza pensare. Durante gli esperimenti la zona dello striato delle cavie mostrava un’intensa attività nell’atto di apprendere l’abitudine.
Un’altra regione del cervello, la neocorteccia, deputata a monitorare l’abitudine, si attivava quando ormai il comportamento è diventato abituale.
Un recente studio ad opera di alcuni ricercatori della Duke University sostiene che i comportamenti abitudinari lascino dei segni duraturi nella rete dei gangli che controllano azioni e disposizioni di tipo compulsivo.
Il che, tradotto, giustifica la difficoltà che molti di noi incontrano nel liberarsi da certe abitudini.
Le abitudini quindi non sono altro che blocchi di azioni sotto il controllo di una regione cerebrale la quale viene modificata in modo duraturo dall’abitudine stessa.
Le future terapie mirate al controllo sia delle “cattive abitudini” che di patologie che si basano su queste dovranno tenerne conto.
Noi, nel nostro piccolo, capiamo un po’ di più sulla nostra natura e magari, come dice Elio, cerchiamo di non giudicare chi vediamo incastrato in certi loop abitudinari perché anche la scienza ci dice che è ostico abbandonarli.
Attenzione, non significa certo che non ci si possa comunque sdoganare da tali gesti, del resto tante persone da sole riescono a smettere di… mangiarsi le unghie!
Nessuno osa dire addio alle proprie abitudini. Più di un suicida s’è fermato sulle soglie della morte pensando al caffè dove andava a giocare tutte le sere la sua partita a domino. (Honoré de Balzac)
Serena Piccardi