Si chiamava David Jones ed era nato a Brixton, un sobborgo londinese, nel 1947. Divenne David Bowie grazie al manager Kenneth Pitt che gli suggerì di adottare il cognome dal coltello “bowie-knife”. Ma fu anche Ziggy Stardust, Halloween Jack, Nathan Adler e The Thin White Duke (noto in Italia come il “Duca Bianco” per delle intense letture su Hitler e sul terzo Reich). E forse tutte queste denominazioni non sono un caso per un artista che ha attraversato con sé ed i suoi alter ego, cinque decenni di musica passando dal folk acustico all’elettronica, attraverso il glam rock, il soul e il krautrock, ed influenzando moltissimi artisti. Il cambiamento di stili, musica, città, come suo manifestao di vita. Era malato da tempo di cancro e, come una visione per la sua imminente fine, aveva recentemente rilasciato un video “Lazarus” in cui appariva amico di Gesù nel momento ed era avvolto da bende prima della resurrezione.
Aveva cominciato a suonare da ragazzo, “volevo essere l’Elvis bianco” racconta da piccolo, pubblicando il suo primo disco a vent’anni. Diventa famoso in tutto il mondo due anni dopo, nel 1969, con la canzone Space Oddity. Ispirata dal film “2001 Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick e incentrata sulla saga dell’immaginario astronauta Major Tom, “Space Oddity” è la prima ballata spaziale della storia del rock. Ventisette album in studio, una ventina di Tour in giro per il mondo, ma anche il cinema. Come attore, dopo alcune piccole apparizioni, riscontra un ottimo successo nel 1976 come protagonista del film di fantascienza L’uomo che cadde sulla Terra di Nicolas Roeg. Tra le sue interpretazioni più note si ricordano Furyo (Merry Christmas Mr. Lawrence) di Nagisa Oshima del 1983, Absolute Beginners e Labyrinth del 1986, e Basquiat di Julian Schnabel del 1996, nel quale interpreta il ruolo di Andy Warhol. Quarant’anni all’insegna delle metamorfosi. Un genio mutante, uno dei pochissimi artisti a concepire il rock come arte globale, pop art, aprendolo a contaminazioni con cinema, teatro, pittura, scultura, arte in senso lato. Il tutto anche riscontrabile con le scenografie dei suoi spettacoli. Lui, duca bianco, personaggio androgino dagli occhi di colori differenti che ne hanno aumentato il fascino. Il 20 marzo 1970 Bowie sposa l’americana Angela Barnett, della quale dirà: “L’ho conosciuta perché stavamo con lo stesso ragazzo”. Il matrimonio dura lo spazio di un decennio. All’inizio degli anni 70 Bowie matura un’estetica che ha nell’ambiguità e nel trasformismo le armi vincenti. Arrivano capolavori come Hunky Dory che folgorerà anche Brian Eno. The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars è un concept-album che gli fa raggiungere la fama mondiale. I suoi modelli sono Jim Morrison, Brian Jones, Mick Jagger, Lou Reed, Jimi Hendrix, ma anche personaggi improbabili, come Vince Taylor, il “Presley francese” morto pazzo e suicida che Bowie citerà. Diventa una icona gay com “donna peggio vestita del mondo”. Scrive testi criptici, ispirati alla cibernetica e a sistemi fantatelevisivi. Nello scenario berlinese matura la celeberrima trilogia Low-Heroes-Lodger, frutto del sodalizio con Brian Eno con gli oltre sei minuti di “Warszava”. Cast stellare con Heroes: oltre a Bowie ed Eno, ci sono Robert Fripp, Carlos Alomar, Dennis Davis e George Murray. E’ il grido disperato dell’ultimo romantico sulla Terra che, tra le macerie di un mondo in sfacelo, implora la sua donna di non andarsene. Con Scary Monsters (And Super Creeps) arriva la deriva pop dance caratterizzato da una crisi creativa con alcuni spunti. Gli anni novanta sono dedicati all’elettronica, nuove sperimentazioni e ritorno al passato. A lui dedicata la più grande mostra retrospettiva allestita al Victoria And Albert Museum e contenente 300 oggetti provenienti direttamente e in esclusiva dal suo archivio privato di New York. Rimarrà una stella, una Blackstar come l’album rilasciato qualche giorno fa, quello del suo 69esimocompleanno
fonte askanews.it